Dr. Fabio Barigelli – Fabio Barigelli – Fisioterapia e Osteopatia https://www.fabiobarigelli.com Fisioterapia a San Cesareo – Terapia Manuale e Osteopatica – Via Cesare Battisti 193 Sun, 23 Oct 2022 16:52:31 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.0.3 https://www.fabiobarigelli.com/wp-content/uploads/2020/08/cropped-instagram-size-logo-02-32x32.jpg Dr. Fabio Barigelli – Fabio Barigelli – Fisioterapia e Osteopatia https://www.fabiobarigelli.com 32 32 Il mal di schiena e l’ osteopatia https://www.fabiobarigelli.com/mal-di-schiena-e-osteopatia/ Sun, 23 Oct 2022 16:50:18 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=5516

l’osteopatia è basata sul contatto manuale per la diagnosi e per il trattamento. Definito come un sistema riconosciuto e largamente diffuso, si occupa di prevenzione sanitaria e rispetta la relazione tra il corpo, la mente e lo spirito sia in salute che nella malattia: i punti centrali sono l’integrità strutturale e funzionale del corpo e la capacità del corpo stesso ad auto-curarsi.

Introduzione

Il trattamento osteopatico viene visto come influenza facilitante per incoraggiare questo processo di auto-regolazione. I dolori accusati dai pazienti risultano da una relazione reciproca tra i componenti muscolo-scheletrici e quelli viscerali di una malattia o di uno sforzo. Il mal di schiena è una delle condizioni principali per cui le persone cercano l’aiuto di un osteopata.

L’ osteopatia è ritenuta una forma sicura ed efficace di prevenzione, diagnosi e trattamento per problemi di salute, incluso il mal di schiena. Spesso si risolve rapidamente da solo, ma se persiste per più di qualche giorno, un osteopata può essere in grado di accelerare il processo di piena ripresa.

mal di schiena

 

Mal di schiena

Con questo termine si indica una grande varietà di sindromi dolorose che colpiscono la colonna vertebrale.

Avere la  colonna vertebrale in buona salute è importante per il  benessere generale della persona. La colonna vertebrale è costituita da una struttura complessa e flessibile di ossa, muscoli, tendini legamenti e nervi. Serve per sostenere la gran parte del peso corporeo e svolge un ruolo essenziale nella protezione dei sistemi nervoso e circolatorio che scendono lungo il midollo spinale.

Bisogna prendersi cura della propria colonna vertebrale (e quindi ) della schiena a qualsiasi età. Più forte e flessibile è, migliore sarà la resistenza allo sforzo quotidiano riducendo il rischio di mal di schiena cronico e acuto.

Non sempre un mal di schiena è causato da un trauma locale a livello della colonna vertebrale. Molto spesso le cose non stanno cosi: disfunzione viscerali, ansia, stress ed altre malattie croniche, come artrite e artrosi, sono, infatti, tra le principali cause di dolore alla schiena.

 

Si può presentare in una delle due seguenti forme:

  1. Episodio acuto. Si manifesta in maniera improvvisa in seguito a sforzi o lesioni muscolari. Può durare alcuni giorni o settimane;
  2. Mal di schiena cronico. Si manifesta in situazioni degenerative che coinvolgono i dischi intervertebrali, le ossa o le articolazioni. Può durare mesi o anni.

Si può presentare con differenti sintomi:

  • Un forte pizzicore o una sensazione di scatto che si manifesta quando si assume una determinata posizione;
  • Un dolore costante e sordo che può irradiarsi in una particolare area;
  • Un dolore acuto a livello dei nervi che tende a manifestarsi in un’area, ma spesso può irradiarsi lungo l’arto più vicino;
  • Una sensazione di debolezza o la sensazione che la schiena possa “cedere”, soprattutto nella parte inferiore della schiena;
  • Una generale sensazione che la parte superiore del corpo si senta inceppata o non allineata.

Questi sintomi non rappresentano il più delle volte un segno di una condizione di salute più grave. Se si verificano altri sintomi di salute generale, incontinenza o intorpidimento, o se il mal di schiena si manifesta improvvisamente dopo un incidente violento, è necessario consultare immediatamente un medico

lombalgia

Quando andare dall' osteopata ?

Quando il mal di schiena causa problemi rilevanti o non migliora, si può provare a trattare con l’osteopatia. L’osteopatia è una  terapia manuale in cui lo specialista  utilizza tecniche manuali per manipolare e muovere le articolazioni e i tessuti molli.

L’obiettivo dell’osteopatia è sempre quello di raggiungere il benessere per eliminare o ridurre l’ uso di farmaci antinfiammatori, soprattutto in caso di mal di schiena di tipo cronico. Quando l’osteopata si trova davanti un paziente che lamenta male alla schiena, infatti, solitamente si tratta di un dolore di tipo cronico che si sta riacutizzando.

Un trattamento osteopatico è mirato sulle esigenze individuali del paziente e varia a seconda dell’età, della forma fisica e della diagnosi. Spesso si concentra sul rilascio della tensione, sull’allungamento dei muscoli e sul miglioramento della mobilità, per aiutare ad alleviare il dolore.

Un osteopata può offrire questo tipo di trattamento per il dolore alla schiena generale, lombalgiasciaticasindrome del piriforme e tante altre patologie. Una corretta diagnosi e il trattamento precoce possono aiutare il recupero e riportare il paziente alle normali attività quotidiane.

Cosa fa l' osteopata per la schiena ?

Il primo compito di un osteopata, quando ha un paziente che lamenta mal di schiena, è quello di fare una valutazione fisica per determinare esattamente cosa sta causando il dolore.

Il trattamento è delicato e varia a seconda la scuola di pensiero con la quale lo specialista ha studiato.

La varietà di tecniche è molto ampi, soprattutto per alleviare la tensione muscolare e tendinea. L’osteopata utilizzerà una pressione adeguata del massaggio e della manipolazione muscolare in base alla tolleranza del paziente. L’obiettivo è portare il paziente e la sua schiena sulla strada del recupero, permettendogli di godersi le attività che ama fare senza alcun disagio.

L’osteopata, insieme al paziente, esaminerà anche i fattori dello stile di vita e identificherà le potenziali attività o situazioni scatenanti il problema, elaborando, successivamente, un piano di recupero completo, inclusi esercizi appropriati anche da fare a casa tra un appuntamento e l’altro.

Ogni paziente ha corporatura e dimensioni diverse. Lo stesso vale per l’esperienza di mal di schiena, che può manifestarsi in un’ampia varietà di intensità, aree della schiena e sensazioni. Bisogna evitare di trattare tutti i casi allo stesso modo, non è il mezzo più efficace. Uno dei principali vantaggi del trattamento dell’osteopatia è l’ampia selezione di tecniche di trattamento disponibili.

Si va da tecniche molto delicate, adatte a persone molto giovani o anziane, a tecniche più forti e dirette, come i massaggi e le manipolazioni profonde dei tessuti molli, più vantaggiose per gli atleti.

valutazione osteopatica

Come viene svolta la seduta di Osteopatia per il mal di schiena ?

L’approccio osteopatico solitamente è suddiviso in 3 fasi:

  1. Analisi della postura. Bisogna valutare l’allineamento della colonna vertebrale, in modo da escludere che il dolore sia dovuto a una postura scorretta;
  2. Palpazione dei tessuti e test di mobilità. Bisogna verificare quali zone della colonna vertebrale e degli arti mostrano una riduzione della micromobilità articolare;
  3. Riduzione dei sintomi dolorosi attraverso la manipolazione o altra tecnica altamente specifica. L’ osteopata utilizzerà una serie di tecniche manuali che andranno ad agire sulle vertebre, sui tessuti molli e sui visceri, quindi sia sui distretti dolorosi che su quelli a distanza.

 

Le principali tecniche che l’osteopata potrebbe utilizzare includono:

  • Massaggi. Una pressione direttamente sui tessuti molli della schiena del paziente. Lo scopo è quello di ridurre la tensione nella schiena e alleviare il dolore;
  • Manipolazioni. Viene eseguita un’azione di spinta più rapida con le mani in un punto particolare della colonna vertebrale;
  • Tecniche a energia muscolare. Questa tecnica prevede che il paziente esegua una spinta contro l’osteopata, che contemporaneamente applicherà una forza contraria. Questo permette di aumentare la gamma di movimento dell’articolazione colpita;
  • Tecniche funzionali. L’osteopata sposta con tecniche manuali delicate le articolazioni in posizioni che riducono la tensione e il dolore, prima di riportarle gradualmente alla posizione originale;
  • Rilascio miofasciale. Si tratta di un massaggio profondo, di aiuto per rilasciare la tensione e la tensione nei muscoli;
  • Pompage. Questa tecnica mira ad aiutare il movimento del fluido noto come linfa intorno al corpo e a correggere eventuali blocchi. Si basa sulla teoria secondo cui un accumulo di linfa nei tessuti può portare a problemi di salute.

L’osteopata consiglia anche la giusta postura, lo stretching e altre attività che possono aiutare ad alleviare il dolore, oltre un efficace programma di riabilitazione e prevenzione.

osteopata

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Postura in ufficio https://www.fabiobarigelli.com/postura-in-ufficio/ Tue, 04 Oct 2022 21:02:04 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=5421

Trascorrere molte ore alla scrivania può essere un fattore predisponente al mal di schiena! Una corretta posizione e regolazione dell'altezza della sedia sono fondamentali. I piedi non dovrebbero toccare terra, le braccia dovrebbero essere piegate a circa 90° e la zona lombare dovrebbe avere un supporto. In questo modo è possibile avere una postura in ufficio corretta !

Mal di schiena alla scrivania

La nostra colonna vertebrale nei millenni  ha subito un processo evolutivo graduale e costante portandoci dalla posizione quadrupedica, a quella eretta. L’ era moderna  richiede un nuovo adattamento: passare dalla posizione eretta allo stare molte ore in posizione seduta. Un cambiamento repentino, al quale probabilmente la struttura del nostro corpo  ancora non è pronta.

La nostra colonna vertebrale è formata da curve chiamate: cifosi e lordosi. Osservandola lateraralmente, la spina dorsale ricorda quasi una morbida “S”.

Le 2 lordosi sono le due curve in avanti che si possono osservare all’altezza del collo (cervicale) e della parte bassa della schiena (lombare). La cifosi è costituita dalla curva all’indietro che si trova nell’area del torace (dorsale). Hanno la funzione di distribuire lo stress meccanico sostenuto quando il corpo è a riposo e durante il movimento. Come una molla assorbono tutte le forze che arrivano dall’alto verso il basso, in particolare la forza di gravità.

Nella posizione seduta riuscire a mantenere le curve fisiologiche  è molto difficile e  tutto ciò può provocare dolori sia a livello muscolare, che articolare. La quantità di ore eccessive  in cui manteniamo queste curve in maniera errata svolgono un  ruolo fondamentale nell’insorgenza del mal di schiena.

 

mal di schiena

 

Qual' è la postura in ufficio più corretta ?

Il momento attuale impone modalità lavorative sempre più sedentarie, sempre più persone trascorrono lunghi periodi di tempo seduti. 5 ore al giorno seduto su una sedia, per 5 giorni a settimana, equivalgono a 1.175 ore ogni anno, da moltiplicare per il numero di anni in cui si lavora, più il tempo che si sta seduti a casa. Trascorriamo più tempo seduti che a letto.

Si può comprendere se la posizione che stai adottando è corretta o meno per la schiena? La posizione seduta aumenta la cifosi dorsale e riduce la lordosi lombare. Questo, nel tempo, creerà prima un sovraccarico a livello muscolare e poi dolore nella colonna vertebrale. Correggere la curva lombare contribuisce a  migliorare  anche la curva a livello dorsale e cervicale. Questa correzione, però, non può essere effettuata dalla sola forza muscolare, perché i muscoli estensori andrebbero incontro a fatica in pochi minuti e la correzione della postura andrebbe totalmente persa.

Ecco per voi un compendio di 10 consigli utili per evitare l’insorgere di mal di schiena quando lavorate molto alla scrivania e migliorare la postura in ufficio

I 10 consigli per la postura in ufficio corretta

  1. Bisogna evitare di superare i 45 minuti di postura nella stessa posizione. Fare una piccolissima pausa e alzarsi è utile per permettere l’ossigenazione dei tessuti ed evitarne il sovraccarico.
  2. Utilizzare una sedia che “accompagni” le curve della colonna vertebrale. Regola l’altezza della sedia in modo che i piedi poggino sul pavimento o su un poggiapiedi e che le cosce siano parallele al pavimento. Regola i braccioli in modo che le braccia si poggino delicatamente su di essi con le spalle rilassate.
  3. Utilizza un piccolo supporto a livello lombare. Anche un cuscino rigido o un asciugamano arrotolato sono utili per creare una spinta della lordosi lombare in direzione anteriore, andando cosi a migliorare anche la curva a livello dorsale e cervicale.
  4. Gomiti piegati a 90°. I gomiti andrebbero  piegati a circa 90° con il peso delle braccia scaricato sul bracciolo o sulla scrivania. Lo sguardo deve essere orizzontale evitando cosi il sovraccarico a livello dorsale, cervicale e lombare.
  5. Il monitor del pc deve essere posizionato  direttamente di fronte a te, a circa un metro distanza. La parte superiore dello schermo deve trovarsi all’altezza degli occhi o leggermente al di sotto. Il monitor dovrebbe essere direttamente dietro la tastiera. Se indossi lenti bifocali, per una visione più confortevole, abbassa il monitor di altri 1-2 pollici.
  6. Utilizza una scrivania adeguata al lavoro e allo spazio. Sotto la scrivania, le ginocchia, cosce e piedi debbono essere iberi. Se la scrivania è troppo bassa e non può essere regolata, posiziona rialzi sotto le gambe della scrivania. Se la scrivania è troppo alta e non può essere regolata, alza la sedia. Usa un poggiapiedi per sostenere i piedi. Evita di riporre oggetti sotto la scrivania.
  7. Tastiera e mouse. Posiziona il mouse a portata di mano e sulla stessa superficie della tastiera. Durante la digitazione o l’utilizzo del mouse, tieni i polsi dritti, la parte superiore delle braccia vicino al corpo e le mani all’altezza dei gomiti o leggermente al di sotto. esistono in commercio mouse verticali, ergonomici e adatti sia a chi ha già fastidi ai tendini della mano, sia per prevenirli. Utilizza anche l’ altra mano ogni TOT tempo.
  8.  Telefono. Se utilizzi il telefono mentre scrivi, usa il vivavoce o un auricolare, così da evitare di tenere il telefono tra la testa e il collo.
  9. Ordina gli oggetti vicini. Oggetti come: telefono, fogli stampanti, fermacarte, penne o altro dovrebbero stare vicini. Alzarsi per prendere tutto ciò che non può essere comodamente raggiunto stando seduto.
  10. Esegui esercizi sul posto di lavoro. Studi scientifici hanno dimostrato che gli esercizi eseguiti sul posto di lavoro aiutano sia nella prevenzione, che nella cura del mal di schiena. Gli impiegati che eseguono esercizi per il mal di schiena hanno meno probabilità di sviluppare dolore a livello lombare. E se pensi che tutto questo sia una perdita di tempo, basti pensare che il subentrare di una patologia a livello lombare potrebbe impedirti di andare a lavorare per diversi giorni, perciò vale sicuramente la pena investire qualche minuto al giorno in prevenzione.postura correta da seduto

Esercizi da fare in ufficio

Di seguito troverai 2 esercizi efficaci per muovere la colonna vertebrale anche quando sei in posizione seduta e stai lavorando:

I ESERCIZIO – FLESSO-ESTENSIONI DEL TRATTO LOMBARE (3 SERIE DA 15 RIPETIZIONI OGNI ORA DI LAVORO)

  • Dalla posizione seduta ergonomica
  • Provoca una cifosi del tratto lombare
  • Estendi il tratto lombare mentre porti il mento all’indietro, come se qualcuno ti stesse tirando verso l’alto
  • Prova ad abbinare anche la respirazione
  • Inspira quando fai la gobba
  • Espira quando estendi il tratto lombare

II ESERCIZIO – ROTAZIONI DEL TRATTO LOMBARE (3 SERIE DA 15 RIPETIZIONI OGNI ORA DI LAVORO)

    • Dalla posizione seduta mantieni la lombare leggermente inarcata
    • Porta un ginocchio in avanti e l’altro indietro
    • E ritorno

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Capsulite adesiva, come riconoscerla e curarla https://www.fabiobarigelli.com/capsulite-adesiva-o-spalla-congelata/ Mon, 05 Sep 2022 19:13:11 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=4872

La capsulite adesiva, conosciuta anche come spalla congelata, è una patologia estremamente invalidante caratterizzata da dolore e rigidità, nella quale all’infiammazione iniziale è seguito poi un ispessimento della capsula articolare della spalla.

Cenni di anatomia della spalla

La spalla è una articolazione particolarmente mobile del corpo e, a differenza di altre articolazioni (anca e ginocchio per esempio ) in cui la stabilità è determinata dalla cavità articolare, nella spalla questa è piccola per contenere la testa dell’omero quindi la sua stabilità e capacità di movimento dipendono da strutture specifiche che sono:

  • capsula articolare, un manicotto di tessuto connettivo che avvolge, sostiene e stabilizza la spalla;
  • i legamenti gleno -omerali e coraco-acromiale;
  • i muscoli della cuffia dei rotatori e del capo lungo del bicipite

L’ insorgenza della spalla congelata è caratterizzata dalla capsula che si infiamma e si ispessisce e, come conseguenza, porterà sia una limitazione nei movimenti attivi e passivi sia dolore durante i movimenti. Proprio questa diminuzione dei movimenti passivi e attivi caratterizza la capsule adesiva rispetto ad altre patologie della spalla come la cuffia dei rotatori e l’artrosi di spalla.

 

Cause della capsulite adesiva

Le cause della spalla congelata sono ancora sconosciute ma è possibile evidenziare alcuni fattori di rischio quali:

  • età, (colpisce tra i 40 e i 60 anni);
  • sesso, le donne sono più colpite;
  • traumi locali, con successive mobilizzazioni soprattutto quando non si esegue un lavoro di fisioterapia specifico;
  • problemi neurologici, parkinson’s, alzhaimer;  
  • problemi metabolici, diabete, disfunzioni tiroidee;
  • ripetizione eccessiva di movimenti;
  • problemi posturali che riguardano soprattutto le spalle.

Nella maggior parte dei casi il movimento più compromesso in caso di spalla congelata è quello della rotazione esterna, ma è sempre importante  effettuare una valutazione specifica per ogni quadro clinico e ogni individuo.

Le 3 fasi della capsulite

La spalla congelata è caratterizzata da tre fasi ben distinte:

  1. fase di congelamento, può durare dai 2 ai 9 mesi, il dolore è la componente predominate rispetto la riduzione della mobilità; si riescono a svolgere le normali attività quotidiane se pur con dolore e una iniziale diminuzione dei movimenti sia attivi che passivi;
  2. fase congelata, può durare dai 4 ai 12 mesi, la riduzione del movimento è predominante rispetto al dolore; si riesce a svolgere attività quotidiane con meno dolore ma con una limitazione della mobilità della spalla;
  3. fase di scongelamento, dpuò durare dai 5 a 24 mesi, è la fase più lunga e si assiste ad una graduale riduzione del dolore e un graduale recupero della mobilità della spalla sia in movimenti attivi che passivi. È la fase che porta verso la risoluzione della patologia.

Il trattamento fisioterapico della capsulite adesiva

  • Il trattamento della spalla congelata può essere:
  • Conservativo
  • Chirurgico

Nella maggior parte dei casi il trattamento è conservativo e la fisioterapia può aiutare senza arrivare all’intervento.

Dopo la presa in carico, il fisioterapista andrà a valutare:

  1. la sede del dolore;
  2. il tipo di dolore alla spalla;  
  3. i movimenti che scatenano il dolore

ed elaborerà un piano terapeutico specifico e individuale.

riabilitazione

Le terapie fisiche fanno parte del piano di trattamento completo utilizzando:

 

Il piano terapeutico è diviso in tre fasi:

  • riduzione del dolore e dell’infiammazione, grazie all’utilizzo di terapie fisiche e tecniche di terapia manuale, osteopatia e cinesiterapia;
  • recupero della mobilità e del movimento, oltre alle tecniche terapia manuale viene inserito l’esercizio terapeutico;  
  • stabilizzazione dei sintomi, concentrando l’attenzione sull’aumento delle performance motorie, andando ad inserire esercizi a difficoltà crescente. 

Nel tempo il quadro andrà monitorato con visite di controllo mensili per il primo periodo.

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L’epicondilite https://www.fabiobarigelli.com/epicondilite/ Fri, 04 Feb 2022 13:21:28 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=4464

L’epicondilite è una condizione dolorosa del gomito, colpisce soprattutto la popolazione con un’età compresa dai 35 ai 50 anni e in prevalenza il sesso femminile.

Conosciuta anche come gomito del tennista è un’infiammazione dei tendini, che si inseriscono nell’epicondilo (sporgenza ossea nella parte distale laterale dell’omero).

epicondilite

Spesso l’epicondilite inizia in maniera molto lenta e graduale, tanto da far sottovalutare la condizione al paziente fino a quando si ritrova ad avere difficoltà a tenere la sua ventiquattrore, a girare la chiave per aprire la porta di casa o a tenere in braccio il proprio bambino.

In rari casi, il dolore al gomito può essere riferito all’ epitrocleite, una condizione simile all’epicondilite, tranne per il fatto che colpisce l’epitroclea (rilievo osseo sul lato interno del braccio).

Sintomi epicondilite

Il dolore al gomito è il sintomo prevalente.

In alcuni casi l’epicondilite può comportare un po’ di rossore e gonfiore nella parte sintomatica, e talvolta la zona infiammata risulta essere calda.

Il dolore dell’epicondilite in fase iniziale è un sintomo ben localizzato lateralmente in prossimità dell’epicondilo (ossia in sede inserzionale) che si avverte durante uno sforzo del gomito o subito dopo di esso.

I movimenti con maggior dolore sono quelli in cui avviene la contrazione degli epicondiloidei, e quindi:

  • Estensione del polso
  • Estensione delle dita
  • Flessione del gomito
  • Pronazione dell’ avambraccio
  • Stringendo la mano

Spesso si tratta di una condizione clinica che viene sottovalutata e portata avanti nel tempo.

In molti casi la sintomatologia svanisce con un po’ di riposo, utilizzando un tutore e prendendo qualche antinfiammatorio, in altri casi invece si acutizza fino a diventare una condizione quasi invalidante.

La sintomatologia dolorosa è difficile da localizzare perché arriva ad estendersi fino al polso, e può essere avvertita anche a riposo. Una semplice stretta di mano, o il girare la chiave della porta di casa possono risultare azioni molto fastidiose, e diventa difficile anche portare la propria 24 ore!

 Cause e fattori di rischio

L’epicondilite laterale del gomito colpisce circa dall’1% al 3% della popolazione generale, soprattutto individui che fumano, i lavoratori manuali, e i tennisti. C’è una significativa associazione tra l’incidenza di epicondilite e lo stress biomeccanico dovuto ai movimenti ripetuti a carico del gomito e anche del polso.

Nei lavoratori la frequenza di un impegno che richiede sforzo o la combinazione della supinazione del gomito (palmo in su) e i sollevamenti pesanti rappresentano fattori fisici di alto rischio per l’insorgenza di epicondilite. L’eziologia di questa condizione è multifattoriale e ancora non molto ben chiara. Oltre alla forma idiopatica si riconoscono diversi fattori di rischio:

Diagnosi

La consultazione medica inizia con una serie di domande riguardanti i sintomi e le attività manuali che normalmente si svolgono. Si procede quindi ad un esame clinico durante il quale si rileva un’assenza di infiammazione (nessun rossore o gonfiore della zona dolorante) ma una sensazione sgradevole, anche dolorosa alla palpazione.

Per confermare la diagnosi, il medico chiede al paziente di eseguire specifici movimenti e test (flettere e allungare il polso, le dita e ruotare l’avambraccio) mantenendo il gomito dritto.. Non sono necessari ulteriori esami. In alcuni casi speciali può essere richiesta un’ecografia del gomito:

Dolore cronico persistente nonostante il trattamento

L’epicondilite può essere riconosciuta come malattia professionale, a determinate condizioni, quando è correlata all’attività professionale svolta.

Terapia e cura per l'epicondilite

Prima di iniziare qualsiasi tipo di terapia, il fisioterapista di riferimento deve valutare attentamente il paziente, cosi da poter progettare il percorso riabilitativo che in minor tempo possa dare il maggiore beneficio.

Nei Centri di Fisioterapia ad alta qualità il fisioterapista dedica fino a un’ora di tempo per la valutazione del paziente ad inizio trattamento. Questo tempo non gli serve solo per il ragionamento clinico ma anche per conosce la persona, la sua storia clinica e le sue abitudini in modo da poter plasmare il ciclo fisioterapico unico e specifico per il paziente che si trova davanti.

Nel caso dell’epicondilite si utilizza un approccio integrato tra:

  • Tecniche di terapia manuale e osteopatia: che possano andare a recuperare le restrizioni di movimento presenti nelle tre articolazioni funzionali, di queste quella che spesso necessità di tecniche di trazione e decompressione è l’articolazione omero-ulnare.

epicondilite cura

Tecniche di mobilizzazione fasciale: come ad esempio il massaggio funzionale utilizzato nelle scuole di Terapia Manuale, o il massaggio trasverso, in modo da poter riequilibrare le tensioni fasciali presenti.

  • Mezzi fisici antalgici e antinfiammatori come:
  • Laserterapia ad alta potenza. Si tratta di particolari raggi luminosi che riescono a dare un importante stimolo biologico anche nei tessuti più profondi;
  • Cryoultrasuoni. È un moderno dispositivo di ultrasuoni a freddo, la sua azione antalgica e antinfiammatoria si ottiene per mezzo di onde sonore a una specifica frequenza, senza lo sviluppo di calore;
  • Tecarterapia in modalità impulsata con massaggio sfiorante. Non si sviluppa molto calore, per evitare di stimolare eccessivamente i tessuti e acutizzare i sintomi.
  • Neuromodulazione che utilizza degli stimoli cutanei elettrici per ridurre il dolore. Normalmente si applica un ciclo della durata di 10 minuti al termine di ogni seduta.
  • Onde d’urto
  • Elettroterapie
  • Esercizio terapeutico: in modo da poter accelerare i tempi di guarigione e recuperare il giusto trofismo muscolare e la funzionalità del gomito.

I dosaggi e la scelta dei singoli macchinari, l’applicazione delle tecniche manuali e la pianificazione degli esercizi sono specifici per ogni persona in funzione del momento terapeutico che sta attraversando (fase acuta / fase cronica) e della causa della patologia.

Esistono situazioni in cui l’epicondilite è causata anche da una problematica cervicale, in questi casi è utile inserire nel percorso terapeutico oltre agli esercizi di neurodinamica quelli per il miglioramento della postura come la ginnastica posturale.

Ginnastica per l'epicondilite

Per allungare i muscoli epicondiloidei occorre estendere il gomito, chiudere la mano a pugno, flettere il polso e deviare leggermente la mano verso il lato ulnare.

In base al ragionamento clinico del fisioterapista, si possono far eseguire esercizi dinamici (con continue ripetizioni nel far estendere le dita della mano, ad esempio) oppure esercizi statici isotonici (facendo tenere la posizione per tot secondi /minuti).

Questi sono alcuni esempi di percorso terapeutico che va ovviamente personalizzato.

 Tutore epicondilite

Il tutore per l’epicondilite è una fascia elastica o in neoprene, che comprende al suo interno una superficie dura, del diametro di qualche centimetro, che deve essere applicata in corrispondenza della sede del dolore, ovvero in prossimità dell’epicondilo.

Lo scopo è quello di creare una leggera compressione ischemica nell’area infiammata e allo stesso tempo di dare una stimolazione a livello neurologico centrale. Soprattutto nei casi non gravi e in fase acuta, è molto utile perché aiuta il paziente a controllare il dolore. Lo si consiglia spesso sin dalla visita iniziale. Il costo del tutore è alla portata di tutti.

Intervento chirurgico

Il trattamento chirurgico è necessario nel 4% -11% dei pazienti quando i sintomi persistono anche dopo le varie terapie conservative. Per questi pazienti, può essere offerto un intervento chirurgico e possono essere utilizzate varie tecniche operative. 

L’intervento chirurgico migliora il dolore e il movimento nell’80-90% delle persone che soffrono di epicondilite. Tuttavia, le procedure chirurgiche hanno prodotto risultati e esiti variabili.

👉Il mio studio Kinesis Fisioterapia e Osteopatia a San Cesareo (Roma) fa parte del Network FisioterapiaItalia.

Oltre ad articoli come questo, puoi trovare una completa informazione sulla fisioterapia e le patologie ad essa correlate !

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Introduzione – Il fisioterapista, chi è, cosa fa e come può aiutarti https://www.fabiobarigelli.com/il-fisioterapista-come-puo-aiutarti/ Sat, 27 Mar 2021 13:15:50 +0000 http://www.fabiobarigelli.com/?p=2584

Tutti nella vita abbiamo avuto bisogno di un bravo fisioterapista, per noi stessi o per qualcuno a noi caro. Per te che stai leggendo ti auguro di non aver più bisogno di noi fisioterapisti nel futuro.

O meglio ti auguro di non soffrire più di mal di schiena – condizione che colpisce l’80% delle persone nel corso della vita – di non avere più traumi quando giochi o ti alleni, di non soffrire più delle patologie che hanno bisogno del fisioterapista per recuperare o migliorare la condizione fisica.

In ogni caso devi sapere che il tuo fisioterapista non fa solo trattamenti riabilitativi e massaggi, si occupa anche di prevenzione e di aumento delle performance motorie, in ambito sportivo e lavorativo, lavorando sulle disfunzioni di movimento e sull’educazione al dolore. 

In realtà fa molto di più e per questo è giusto che tu conosca tutte le principali tecniche e metodiche che il fisioterapista può mettere a disposizione per te se malauguratamente il mio augurio di poc’anzi non si riveli efficace.

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Breve storia moderna della fisioterapia

Le prime origini documentate dell’attuale fisioterapia come categoria professionale risalgono a Per Henrik Ling,” padre della ginnastica svedese” che fondò il Royal Central Institute of Gymnastic ( RCGI) nel 1813 dove svolgeva le manipolazioni articolari, i massaggi terapeutici e l’ esercizio fisico.

La parola svedese per fisioterapista è sjukgymnast che si può tradurre come “qualcuno coinvolto nella ginnastica per coloro che sono malati”.

Da quel momento storico, successive e postume correnti incentrate esclusivamente sul ricorso delle mani come atto curativo – comprese le manipolazioni articolari- sono state sviluppate: l’Osteopatia nel 1874 per opera di Andrew Taylor Still e la Chiropratica nel 1895 con Daniel David Palmer.

Nel 1887, i fisioterapisti ricevettero la registrazione ufficiale dal consiglio nazionale svedese per la salute e il benessere. Altri paesi presto seguirono. Nel 1894, quattro infermiere in Gran Bretagna formarono la Chartered Society of Physiotherapy. La School of Physiotherapy presso l’Università di Otago in Nuova Zelanda nel 1913 e il Reed College degli Stati Uniti del 1914 a Portland, Oregon, i cui graduati vennero nominati “aiutanti della ricostruzione”.

Risulta chiaro come già da prima dell’avvento dell’Osteopatia e poi della Chiropratica , la terapia manipolativa spinale è stata sempre una componente importante del lavoro del fisioterapista sin dall’inizio della pratica della fisioterapia con la scuola svedese (1813)…approfondisci lo studio.

Verso la fine del 19 °secolo a causa di eventi e guerre che hanno avuto un effetto su scala globale, c’è stata una maggiore richiesta di riabilitazione e assistenza e ciò ha permesso rapidi progressi nella fisioterapia. Poco dopo i chirurghi ortopedici americani iniziarono a trattare i bambini con disabilità e iniziarono a impiegare donne addestrate nell’educazione fisica e nell’esercizio correttivo. Questi trattamenti furono applicati e promossi ulteriormente durante l’epidemia di poliomielite del 1916.

La prima ricerca di terapia fisica fu pubblicata negli Stati Uniti nel marzo del 1921 in “The Physical Therapy Review”. Nello stesso anno, Mary McMillan organizzò l’American Women’s Physical Therapeutic Association (ora chiamata American Physical Therapy Association – APTA). Nel 1924, sempre in America la Georgia Warm Springs Foundation promosse la fisioterapia pubblicizzandola come trattamento per la poliomielite.

Il trattamento durante gli anni ’40 consisteva principalmente in esercizio, massaggio e trazione.

All’inizio degli anni ’50 furono riprese le procedure manipolative delle articolazioni della colonna vertebrale e delle estremità, specialmente nei paesi del Commonwealth britannico,. Intorno al tempo in cui furono sviluppati i vaccini contro la poliomielite, i fisioterapisti divennero comunemente presenti negli ospedali in Nord America ed Europa.

Alla fine degli anni ’50, i fisioterapisti iniziarono a spostarsi oltre la pratica ospedaliera in cliniche ortopediche ambulatoriali, scuole pubbliche, centri sanitari di college / università, strutture geriatriche (strutture infermieristiche specializzate), centri di riabilitazione e centri medici. La specializzazione per la terapia fisica negli Stati Uniti avvenne nel 1974, con la Sezione Ortopedica dell’APTA formata per quei fisioterapisti specializzati in ortopedia.

Nello stesso anno, la Federazione internazionale dei fisioterapisti manipolatori ortopedici è stata costituita a Montreal in Canada, che da allora ha svolto un ruolo importante nel far progredire la terapia manuale in tutto il mondo.

L’International Federation of Orthopedic Manipulative Physical Therapists (IFOMPT) è il primo sottogruppo della World Confederation for Physical Therapy (WCPT), l’associazione mondiale dei fisioterapisti, che è riconosciuta dall’organizzazione mondiale della sanità (OMS). E ‘quindi l’organismo più rappresentativo a livello mondiale della terapia manuale e si configura come un gruppo di interesse specialistico composto da solo da fisioterapisti. IFOMPT riconosciuti come Full Member 22 Nazioni, denominate Member Organization, nelle quali i corsi di formazione in terapia manuale devono essere conformi agli standard elaborati della Federazione.

 

La visita fisioterapica

In Italia si è soliti pensare che il fisioterapista non faccia una visita o peggio ancora non rilasci una ” diagnosi” al paziente.

Dal punto di vista etimologico la parola “diagnosi” deriva da greco antico e vuol dire “conoscere attraverso”: si può parafrasare quindi come la procedura di ricondurre un fenomeno o un gruppo di fenomeni – dopo averne considerato ogni aspetto – a una categoria.

Appare quindi chiaro che il fisioterapista certamente effettua una visita e consegna al paziente una diagnosi.

Quando pensiamo alla parola “diagnosi” però la riconduciamo in linea esclusiva sempre quella che fa il medico: giusto così, ma è bene chiarire che si tratta di diagnosi di stampo medico o nosologica.

Il fisioterapista al contrario non rilascia una diagnosi medica bensì una diagnosi fisioterapica e funzionale: segni e sintomi del pazienti sono evidenziati e registrati durante la visita atti a formulare una ipotesi di diagnosi e di trattamento entro le proprie competenze.

Facciamo un esempio: un paziente si fa male al ginocchio durante una attività sportiva, si infortuna il legamento crociato anteriore e al collaterale senza esserne a conoscenza (presenta dolore e mostra un ginocchio cedevole durante il movimento ma non sa ancora cosa abbia esattamente), e così pensa di rivolgersi al fisioterapista.

Il fisioterapista a quel punto chiederà cosa sia successo tramite una anamnesi, verificherà che il paziente abbia già una diagnosi medica e approfondirà l’azione lesionale che ha causato il problema per il quale il paziente si è presentato. Durante il primo incontro, il fisioterapista tramite l’anamnesi e la visita si accerta innanzi tutto che il paziente non soffra di condizioni di salute pericolose di natura medica, le red flags o bandiere rosse, e caso in cui avesse qualche dubbio, rimanderebbe subito alle attenzione del medico curante.

Successivamente valuta lo stato del ginocchio del paziente verificando ad esempio la funzionalità dei legamenti: qualora rilevasse che il ginocchio si muove “troppo” in risposta alle manovre provocative e ai test funzionali , dirà al paziente che il suo ginocchio è instabile, ossia evidenzierà un concetto funzionale confacente il movimento (e non di danno o alterazione anatomica). Non rilascerà quindi una diagnosi medica dato che questo compito spetta solamente al medico e alle eventuali refertazioni dello specialista anche a seguito delle indagini strumentali (Risonanza Magnetica ecc).

Dal Codice deontologico AIFI – Art. 14 Visita fisioterapica

“Il Fisioterapista effettua la valutazione fisioterapica attraverso l’anamnesi, la valutazione clinico-funzionale e l’analisi della documentazione clinica prodotta dalla persona assistita. La diagnosi fisioterapica, o una sua coerente ipotesi, costituisce il risultato del processo di ragionamento clinico ed è preliminare all’intervento fisioterapico. Nel caso in cui il processo diagnostico sia insufficiente o nel caso in cui si evidenzino dati che vanno al di là delle proprie conoscenze o competenze, il Fisioterapista inviterà la persona assistita ad effettuare ulteriori approfondimenti.”

A questo punto ci si può chiedere: ma cosa fa il fisioterapista? Il lettore può comprendere come il fisioterapista rappresenti una figura fondamentale all’interno del panorama sanitario e che sa relazionarsi ed interagire con il medico di base e lo specialista per offrire un percorso di cura assolutamente di elevata competenza e professionalità, e altresì abilitato ad agire anche in autonomia come viene dichiarato nel profilo professionale, oltre che nel team multidisciplinare.

Infatti di seguito spunti tratti dal profilo professionale del fisioterapista che ha valore di legge:

E’ individuata la figura del fisioterapista con il seguente profilo: il fisioterapista è l’operatore sanitario, in possesso del diploma universitario abilitante, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali superiori, e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita od acquisita.

(…) il fisioterapista:

– elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma di riabilitazione (…)

– pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale (…)

Di seguito potete leggere il documento integrale sul profilo del fisioterapista: Decreto 14 settembre 1994 , n. 741 

Il fisioterapista e la Fisioterapia Neurologica (riabilitazione neurologica)

 

 

Spesso i pazienti pensano che tutti i fisioterapisti hanno la stessa esperienza e formazione clinica (medical expertise) o sappiano lavorare con la stessa padronanza su pazienti ortopedici come sui pazienti neurologici.

“Non è così!!”

Questa è una prima distinzione che devi conoscere.

Sia nel percorso di studi universitari che per le specializzazioni post laurea un fisioterapista può avere un profilo più orientato all’ambito neurologico piuttosto che in quello ortopedico.

Per un paziente è importante sapere che normalmente i fisioterapisti con profili con vocazione più neurologica, si trovano in particolare nei centri di riabilitazione neurologica accreditati dalle Regioni come la ULSS4 o negli ospedali e centri di ricerca come l’Humanitas di Milano dove è presente un reparto di neurologia e neurochirurgia o nei centri e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) come il Santa Lucia di Roma.

Le patologie neurologiche hanno spesso percorsi di riabilitazione lunghi che a volte diventano parte integrante della vita dei pazienti, per questo i pazienti stessi scelgono e vengono indirizzati a preferire centri le cui prestazioni vengono erogate a carico del SSN (sistema sanitario nazionale).
La fisioterapia è di supporto e molto spesso pilastro del percorso di trattamento e cura di tutte le patologie neurologiche, nelle persone adulte come nei bambini.
Le patologie che il fisioterapista può prendere in carico insieme all’equipe di riabilitazione sono quelle le malattie neurologiche o sistemiche che provocano disturbi del SNC (sistema nervoso centrale) o del SNP (sistema nervoso periferico) come:

  • Sclerosi multipla
  • SLA (Sclerosi laterale amiotrofica)
  • malattie cerebrovascolari (ictus o stroke ischemico e emorragico)
  • Alzheimer
  • Parkinson
  • Malattie ederodegenerative
  • Patologie infiammatorie-infettive(che coinvolgono primariamente o secondariamente il SNC)
  • Malattie il sistema nervoso periferico (polineuropatie, miastenia, miopatie)
  • Traumi cranici e lesioni midollari
  • Patologie Neurologiche dell’età pediatrica ( paralisi cerebrale infantile, idrocefalo, plagiocefalia)
  • Malattie genetiche che coinvolgono il sistema nervoso anche in età pediatrica:
    • Fibrosi Cistica
    • Malattia di Huntington
    • Sindrome di Down
    • Distrofia Muscolare di Duchenne
    • Anemia Drepanoticitica
    • Distrofia Muscolare di Becker
    • Sindrome di Noonan
    • Talassemia
    • Sindrome di Bloom

Per far fronte a queste patologie i “fisioterapisti con specializzazione in riabilitazione neurologica” utilizzano e si formano in diversi ambiti:

Quindi riassumendo e completando la disamina, grazie a queste competenze il fisioterapista può seguire con efficacia pazienti affetti da vasculopatie cerebrali, come ictus che comportano al paziente quadri clinici di emiplegia e emiparesi.
Il Morbo di Parkinson e altri disturbi del movimento come parkinsonismi, corea e tremori.
Disturbi dell’equilibrio come l’Atassia, Malattie neuro-muscolari, Sclerosi multipla,varie forme di Neuropatie, Paraplegie e Tetraplegie, SLA (Sclerosi laterale amiotrofica),Polinevriti infettive, Miopatie,Paralisi cerebrali infantili, Malettie genetiche, Traumi cranici, Postumi da interventi di neurochirurgia, Tumori cerebrali.

Questa incredibile varietà di patologie e la diversa complessità dei casi clinici che il fisioterapista si trova ad affrontare richiedono al fisioterapista di formarsi in modo continuo.
Più precisamente oltre che continuare la sua formazione post laurea con corsi sulla riabilitazione neurologica il fisioterapista deve avere dimestichezza con la ricerca e la letteratura scientifica relativa alla neuro-riabilitazione, attraverso l’uso banche dati internazionali come PubMed.

Il fisioterapista e la Fisioterapia Ortopedica (riabilitazione ortopedica)

Questa branca della fisioterapia sembra quella di più semplice comprensione.. purtroppo non è cosi

La fisioterapia e la riabilitazione ortopedica al loro interno hanno diversi tipi di approcci terapeutici, metodi, strumenti e tecnologie.

Questo spesso confonde il paziente, per dirla tutta anche gli ortopedici a volte, così abbiamo deciso di creare una distinzione per fare chiarezza sull’argomento.

Il paziente va dal fisioterapista solo quando ha dolore, purtroppo, oppure dopo un intervento chirurgico o dopo un trauma.
Quindi possiamo dividere i pazienti che accedono alle cure del fisioterapista in due categorie: quelli con un dolore spontaneo e con dolore non spontaneo.

Il fisioterapista e il Dolore spontaneo e fisioterapia

Il dolore spontaneo è quello che si manifesta in assenza di un trauma diretto sulla zona. L’insorgenza del dolore può essere rapida o più graduale a seconda dello stato della patologia e dal meccanismo che genera il dolore.

Il mal di schienadolore al colloepicondilite o un dolore dietro al ginocchio, possono essere causati da problemi di sovraccarico funzionale, problemi posturali, alterazioni anatomiche o fisiologiche e patologie sistemiche.

Come fa un fisioterapista a capire da cosa generato il dolore?

 

Premesso che il fisioterapista non da diagnosi medica ma solo di tipo funzionale, attraverso una serie di anamnesi e una serie specifica di test può individuare l’origine dei segni clinici e dei sintomi del paziente.                                                                                                                                    Facciamo un esempio: un paziente arriva all’osservazione del fisioterapista con una diagnosi di lombalgia fatta dal medico con una risonanza magnetica che presenta una protrusione discale L5-S1.

A questo punto il fisioterapista deve capire se il dolore riferito dal paziente deriva direttamente dalla protrusione evidenziata dal quadro radiologico.

Come sappiamo la presenza di una protrusione del disco, è una condizione anatomica diffusa nella popolazione al di sopra dei 40 anni di età e che non rappresenta sempre la vera causa del dolore alla schiena.

Il dolore lombare ha infatti numerose cause ed è necessario individuare precisamente quale o quali cause producono il dolore

Le cause del dolore lombare possono essere: 

In questo esempio abbiamo messo in evidenza quali sono le principali cause di dolore alla schiena.
Sono così tante che stimolano riflessioni e domande su come sia possibile che un fisioterapista possa orientarsi in tutto questo.

Come fa il fisioterapista a sapere su quale livello o struttura lavorare?

Come fa a capire se un dolore è causato da patologie organiche non di sua competenza?

Quali sono le tecniche e gli strumenti che ha a disposizione per aiutare il paziente?

Di seguito postiamo le linee guida italiane sull’ernia discale del 2008, le linee guida europee per la lombalgia del 2004 (in inglese) e le linee guida italiane per il mal di schiena del 2002 che potete scaricare qui.

Il GIMBE nel 2017 fornisce inoltre una sintesi sulla “migliore pratica” con le migliori evidenze per la valutazione e il trattamento della lombalgia e sciatalgia qui (in italiano).

 

La valutazione del fisioterapista in terapia manuale

La valutazione del fisioterapista è alla base di tutti percorsi terapeutici.

Troppo spesso il paziente finisce sul lettino senza aver fatto una valutazione.

La Terapia Manuale Ortopedica” (OMT) è una specializzazione della fisioterapia per il trattamento delle patologie neuro-muscolo-scheletriche, basata sul ragionamento clinico, che utilizza approcci di trattamento altamente specifici, i quali includono le tecniche manuali e gli esercizi terapeutici, ed è guidata dalle prove di efficacia cliniche scientifiche disponibili e dalla struttura biopsicosociale di ogni singolo paziente”.

Il fisioterapista specializzato in terapia manuale esegue una valutazione seguendo i seguenti principi:

  • il ragionamento può essere definito come il processo cognitivo che porta il fisioterapista a prendere le decisioni cliniche.
    Per questo il fisioterapista raccoglie informazioni e dati in ogni domanda e test che viene realizzato durante la valutazione.
    Questo porterà il fisioterapista a produrre nella sua mente una serie di ipotesi sullo specifico caso clinico che, andrà a confermare fino a definire e realizzare un piano terapeutico dedicato per ogni paziente.
  • lo schema mentale da utilizzare è un modello aperto, per il quale è importante sviluppare una mentalità flessibile e senza preconcetti alla ricezione dell’informazione.
    Come faceva il Dr.House, nella omonima serie televisiva.

Per capire meglio il concetto di ragionamento clinico del fisioterapista si utilizza la metafora del “brick wall”.
Un muro di mattoni, che consente il passaggio di informazioni ma separa il lato teorico (idea della patologia) e quello clinico (il riscontro fornito dai test, dai segni e dalle domande).
All’interno del processo di valutazione e di trattamento il fisioterapista prende in considerazione i due lati del muro di mattoni per generare le ipotesi, definire le precauzioni, le controindicazioni, pianificare il trattamento e stabilire una prognosi.

L’idea del “brick wall” è parte integrante del concetto Maitland, ma anche altri approcci di terapia manuale come il Mulligan, il Mckenzie e di tutti master universitari di terapia manuale svolti nelle università italiane, con riconoscimento internazionale in terapia manuale e manipolativa ortopedica (OMT), attualmente presenti sul territorio italiano nelle città di Padova, Genova, Bologna, Roma e nel Molise: approfondisci qui.

Anche approcci di terapia manuale con un approccio più miofasciale come il Metodo Stecco seguono schemi di ragionamento clinico simili a quello descritto.

Il fisioterapista, chi è, cosa fa e come può aiutarti

La terapia manuale consiste in un ampia serie di mobilitazioni e manipolazioni, in cui il fisioterapista gestisce movimenti precisi orientato a ridurre il dolore, aumentare l’escusione di movimenti articolari, ridurre o eliminare gli edemi del tessuto connettivo, migliorare l’elasticità e la capacità di contrazione del tessuto muscolare.

Inoltre la ricerca scientifica più recente ha dimostrato come la terapia manuale, secondo certe modalità di approccio, possa modulare direttamente il sistema nervoso centrale con il risultato di “rinforzare” quei meccanismi centrali presenti nel cervello e nel midollo spinale deputati ad abbassare il dolore e la sua percezione, oltre che ad aumentare il meccanismo della ricompensa e del piacere, cioè quello stato di benessere che sopraggiunge ad esempio dopo l’ attività fisica o dopo aver mangiato cioccolata. Qui uno studio in inglese che indaga i meccanismi alla base della terapia manuale: clicca qui.

Le tecniche di terapia manuale – proprie del fisioterapista e del medico specialista – non vanno confuse con la classica Kinesiterapia, perché seguono un razionale completamente differente e sono soggette ad un alta variabilità a seconda del caso clinico e del momento terapeutico. Variabilità che va dal tipo di tecnica, alla direzione e all’intensità della forza applicata.

La valutazione del fisioterapista nella terapia fisica

In alcuni casi il fisioterapista può utilizzare, insieme alle tecniche di terapia manuale e all’esercizio terapeutico, anche il supporto dei mezzi fisici:

laser,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

tecarterapia,

ipertermia per lo stimolo dei tessuti biologici per il controllo del dolore e dell’infiammazione.

Ad esempio nelle tendinopatie l’utilizzo delle onde d’urto, risulta particolarmente efficace per la soluzione di queste patologie.  Ad esempio esistono evidenze, con risultati variabili, sul ricorso alla terapia fisica in condizioni muscolo-scheletriche comuni nella popolazione soprattutto dedita ai lavori manuali o allo sport come la sindrome del Tunnel carpale e l’Epicondilite (vedi l’articolo “Epicondilite e Tunnel carpale”).


Rimane chiaro il fatto che, ogni dolore spontaneo di questo tipo è sempre legato ad un sovraccarico funzionale, il fisioterapista deve sempre avere una visione d’insieme i non limitarsi al quadro locale del sintomo.

Per rimanere nel tema delle tendinopatie è facile capire come ad esempio un problema al tendine di achille possa essere causato dall’appoggio del piede, che a sua volta possa subire interferenze funzionali negative da parte di altri distretti corporei come ad esempio, l’anca, il ginocchio o la colonna.

Il corpo umano e il suo movimento è come un’orchestra. Ogni distretto corporeo composto da ossa, legamenti, nervi e sistema mio-fasciale deve fare la sua parte, suonare il suo spartito.

Il direttore d’orchestra è sicuramente il snc (sistema nervoso centrale) ma il fisioterapista attraverso i suo lavoro può dare un supporto a tutta l’orchestra, lavorando per il miglioramento delle performance di ogni distretto anatomico e sull’efficenza del sistema nervoso, sia centrale che periferico.

Dolori non spontanei (riabilitazione post traumatica e post chirurgica)

Quando il paziente subisce un infortunio o si sottopone ad un intervento chirurgico l’approccio del fisioterapista cambia l’utilizzo della terapia manuale (quella spiegata poc’anzi) può essere di supporto solo nelle fasi avanzate del percorso riabilitativo.

La riabilitazione post traumatica e post chirurgica possono essere divise in 5 diverse fasi, che possono sovrapporsi nei tempi, nella programmazione del piano riabilitativo, ma che hanno finalità specifiche:

1-controllo del dolore e dell’infiammazione

 

2-recupero dell’articolarità e del movimento

 

 

3-rinforzo muscolare

4- miglioramento della propriocezione

 

5-recupero funzionale e del gesto motori.

Il fisioterapista, concorda con il medico le attività relative alle 5 fasi e in base al momento terapeutico, inserisce all’interno del programma riabilitativo, le diverse tecniche, metodologie o tecnologie che ha a disposizione per favorire un recupero veloce e sicuro, delle attività motoria del paziente.

Nelle fasi acute postraumatiche come nelle primi giorni dopo un intervento chirurgico il programma di riabilitazione si focalizzerà maggiormente sulle fasi 1 e 2 (controllo del dolore e dell’infiammazione e recupero dell’articolarità e del movimento).

In queste prime fasi il fisioterapista oltre alla crioterapia, utilizza all’occorrenza mezzi fisici come laser, tecarterapia, ultrasuoni, elettroterapia, magnetoterapia.

Nella fasi più avanzate della riabilitazione, dalla fase 3 alla 5 (rinforzo muscolare, miglioramento della propriocezione, recupero funzionale e del gesto motorio), vengono inseriti progressivamente inserite tecniche riabilitative ed esercizi specifici per ogni fase come:

  • il rinforzo muscolare selettivo
  • gli esercizi funzionali
  • la ginnastica propriocettiva

in tutte le fasi terapeutiche è possibile anche abbinare delle tecniche di massaggio.

  • il massaggio terapeutico che è a sua volta diviso in diverse tecniche o metodi che il fisioterapista può mettere in atto in relazione al quadro clinico.

Il fisioterapista e l'Analisi della postura e del movimento

La tecnologia è sempre più presente nel mondo della fisioterapia e della riabilitazione. Oltre ai mezzi fisici, utilizzati per il controllo del dolore e per la riduzione dell’infiammazione, le nuove tecnologie ci mettono a disposizione strumenti per la valutazione della postura, la valutazione del movimento e per la prevenzione degli infortuni.

Il fisioterapista, chi è, cosa fa e come può aiutarti

Come già argomentato precedentemente, un dolore che si manifesta in una zona del corpo, può essere causa da un problema funzionale più ampio e non specifico ad esempio di singola articolazione.

Il fisioterapista attraverso la terapia manuale e i mezzi fisici interviene sulla fase acuta ma è necessario approfondire il motivo per il quale quella zona è andata in sovraccarico funzionale e prevenire le recidive.

Le tecnologie messe a disposizione dall’ingegneria biomedica per la valutazione del paziente in fisioterapia e in riabilitazione sono:

  • esame baropodometrico
  • treadmill per analisi del passo
  • gateanalisis
  • valutazioni posturali computerizzate
  • valutazione isocinetica e isogonica
  • biofeedback elettromiografici.

Molti di questi strumenti oltre a fornire un dei dati per programmare il percorso riabilitativo, possono essere utilizzati come strumenti di trattamento.

I ricercatori di tutto il mondo sono concordi: il movimento, quindi l’esercizio terapeutico e riabilitativo, sono ad oggi la principale cura per le patologie muscolo scheletriche.

L’esercizio però come un farmaco deve essere, consigliato con precisione, dosato e cambiato al cambiare dei sintomi e del quadro clinico, il fisioterapista è il professionista sanitario che capace di valutare, affiancare e seguire il paziente in tutto il percorso terapeutico.

 

Efficacia della fisioterapia

La terapia fisica risulta efficace per migliorare i risultati, sia in termini di dolore che di funzionalità, in molteplici condizioni muscolo-scheletriche.

Secondo revisioni sistematiche del 2012 e studi randomizzati – considerati di elevato valore scientifico- esistono prove a sostegno dell’uso della manipolazione spinale da parte dei fisioterapisti come opzione sicura per migliorare i risultati per la lombalgia.

Inoltre una combinazione di terapia manuale e terapia con esercizi supervisionati da parte di fisioterapisti offre benefici funzionali per i pazienti con artrosi del ginocchio e può ritardare o addirittura impedire la necessità di un intervento chirurgico.

Una revisione sistematica del 2015 ha suggerito che mentre la manipolazione della colonna vertebrale e il massaggio terapeutico sono interventi efficaci per il dolore al collo.

Gli studi dimostrano anche che la terapia fisica è efficace per i pazienti con altre condizioni. Una revisione sistematica del 2012 sull’efficacia del trattamento fisioterapico nei pazienti con asma ha concluso che il trattamento fisioterapico può migliorare la qualità della vita, promuovere la performance cardiopolmonare e la pressione inspiratoria, nonché ridurre i sintomi e l’uso di farmaci.

Fisioterapia o chirurgia nel dolore muscolo-scheletrico?

Se comparata alla chirurgia ,il trattamento di decompressione chirurgica e la fisioterapia sono alla pari per la stenosi spinale lombare nel miglioramento dei sintomi e della funzione.

Le tecniche di terapia manuale focalizzate al collo e sul nervo mediano, combinate con esercizi di stretching, possono essere equivalenti o addirittura preferibili alla chirurgia per la sindrome del tunnel carpale (vedi l’articolo “epicondilite e tunnel carpale”).

Fisioterapia nella terapia intensiva?

Una revisione sistematica del 2013 ha mostrato che nei pazienti intubati in terapia intensiva con ventilazione meccanica il ricorso alla mobilizzazione passiva precoce e progressiva è sicura ed efficace per il recupero, leggi l’abstract allo studio.

Palese dunque l’enorme importanza della fisioterapia e del ruolo dei fisioterapisti specializzati in molte condizioni cliniche disabilitanti sia di natura acuta che cronica e, per rimanere attuali ai tempi del Covid-19, risulta chiara l’importanza del fisioterapista nelle terapie intensive per permettere un migliore recupero, evitando le comorbilità, le patologie associate all’immobilità e più in generale mantenere l’intero sistema corpo in movimento.

Bibliografia essenziale:

Effectiveness of physical therapist administered spinal manipulation for the treatment of low back pain: a systematic review of the literature.

Physical therapy is as effective as surgery for lumbar spinal stenosis, study finds.

Tunnel Carpal Syndrome: physical therapy o surgery?

Manual physical therapy versus surgery for Tunnel Carpal Syndrome: a randomized parallel-group trial.

Are manual therapies, passive physical effective for the management of patients with whiplash-associated disorders? An update od bone and joint decade task forcenon neck pain and its associated disorders by OPTIMa collaboration.

The effectiveness of physiotherapy in patients with asthma: a systemic review of literature.

Comunicazione efficace

Uno studio di revisione sistematica, il gold standard della ricerca, che includeva pazienti con lesioni cerebrali, condizioni muscolo-scheletriche, patologie cardiache o patologie multiple ha scoperto che l’alleanza tra paziente e terapista si correla positivamente con l’esito del trattamento.

I risultati includono: capacità di svolgere attività di vita quotidiana, gestire il dolore, completare compiti specifici relativi alla funzione fisica, miglioramento della depressione, valutazione globale della salute fisica, aderenza al trattamento e soddisfazione del trattamento.

Gli studi hanno esplorato quattro temi che possono influenzare le interazioni paziente-terapeuta:

  • abilità interpersonali e comunicative,
  • abilità pratiche,
  • cure centrate sul paziente individualizzate,
  • fattori organizzativi e ambientali.

La ricerca ha dimostrato che l’uso di strumenti di comunicazione su misura per l’educazione sanitaria del paziente porta a un migliore coinvolgimento verso il proprio medico e l’assistenza clinica. Inoltre, i pazienti hanno riferito che il processo decisionale condiviso produrrà una relazione positiva: competenze pratiche come la capacità di educare i pazienti sulle loro condizioni e l’esperienza professionale sono percepite come fattori preziosi nella cura dei pazienti.

Sulla base della comprensione attuale, i fattori più importanti che contribuiscono alle interazioni paziente-terapeuta includono che il fisioterapista trascorra un adeguato periodo di tempo con il paziente, che possieda forti capacità di ascolto e comunicazione, che tratti il paziente con rispetto e competenza e che fornisca spiegazioni chiare del trattamento con la partecipazione attiva del paziente alla sua gestione riabilitativa.

Se sei un fisioterapista e stai leggendo questo capitolo vorrà dire che giustamente sei interessato alla comunicazione efficace del fisioterapista verso il paziente per fargli raggiungere i risultati riabilitativi concordati in maniera più veloce ritrovando la salute: vi suggeriamo a tal proposito questo sito internet “fisiocoaching” dove potete trovare all’interno indicazioni e spunti importanti, oltre che il libro “Fisiocoaching: comunicare per riabilitare”.

Se sei interessato al marketing sanitario e a tutti gli aspetti collaterali ma imprescindibili per la gestione e ottimizzazione del tuo centro di fisioterapia e ambulatorio come:

  • le strategie di marketing e il marketing operativo,
  • controllo di gestione,
  • comunicazione efficace,
  • pianificazione fiscale e adempimenti legali-assicurativi-privacy,

vi suggeriamo di visionare questi link: 

 

Il fisioterapista e l’Osteopatia, una pratica sanitaria

l’osteopatia ha avuto un importante diffusione in Italia e nel mondo.

L’osteopata grazie alla sua visione globale e alle numerose tecniche manuali ha affascinato l’immaginario collettivo, facendosi spesso preferire al fisioterapista.

Ma chi è l’osteopata e cosa fa di diverso dal fisioterapista?
Parliamoci chiaramente: è solo una questione di approccio e di metodo.

L’osteopatia utilizza molte tecniche manuali usate dal fisioterapista, in particolare sulle patologie dell’apparato muscolo scheletrico ma lo fa con un intenzione clinica diversa. Inoltre utilizza tecniche cranio-sacrali e viscerali il una visione sicuramente più olistica dell’individuo.

La cosa più importante da sapere non è quella di capire che un osteopata è meglio o peggio del fisioterapista, la cosa più importante da sapere che l’osteopatia non è ancora una professione con una chiara regolamentazione anche dopo il DDL Lorenzin del 2017.

In Italia per legge può definirsi Osteopata chiunque abbia fatto una scuola di Osteopatia – che sia part time, full time o di solo qualche fine settimana- in quanto ad oggi (2020) è individuata l’osteopatia solamente come attività sanitaria senza però che la figura dell’osteopata sia ancora stata istituita, vale a dire che bisogna attendere che in futuro le Istituzioni, il MIUR ed altri organi e sussidi dello Stato stilino il profilo professionale dell’Osteopata – delineando competenze e percorso universitario – che legittimi lo svolgimento della professione sanitaria di Osteopata in Italia. 

Per questo è necessario fare molta attenzione quando si sceglie un professionista.

Il consiglio è quello accertarsi del fatto che, l’osteopata, oltre a dichiararsi tale, sia anche in possesso di un titolo abilitante alla professione sanitaria, un fisioterapista laureato (attenzione è la professione in assoluto con il più alto numero di abusivi) o un medico. Si perché chi ha un problema di salute, un dolore o un sintomo, è un paziente e come tale deve essere seguito da un professionista sanitario, non da un altro cittadino che ha seguito corsi durante i fine settimana che dice di essere un osteopata.

Alla luce di tutto ciò, l’osteopata deve essere prima di tutto un fisioterapista o un medico, quindi un laureato.

L’albo dei fisioterapisti e i nuovi processo in atto volti alla regolamentazione di questo settore, daranno sicuramente al cittadino gli strumenti di verifica per non capitare nelle mani sbagliate, nel frattempo, fate attenzione! Alla luce di tutto ciò, l’osteopata deve essere prima di tutto un fisioterapista o un medico, quindi un laureato. A tal riguardo l’interrogazione parlamentare già nel lontano 12 Marzo 2014 – ma ancora attuale- chiariva la questione ribadendo che la pratica dell’osteopatia fosse riservata solo alle professioni già sanitarie, qui.

L’albo dei fisioterapisti e i nuovi processi in atto volti alla regolamentazione di questo settore, daranno sicuramente al cittadino gli strumenti di verifica per non capitare nelle mani sbagliate, nel frattempo, fate attenzione e verificate che il vostro osteopata sia un sanitario e che abbia una laurea in fisioterapia, controllando qui

 

Altre specializzazioni del fisioterapista

L’obiettivo di questo articolo di spiegare chi è e cosa fa un fisioterapista è stato raggiunto parzialmente. Esistono infatti altre specializzazioni, nicchie e passioni che non abbiamo fin ora menzionato.

Mal di testa, riabilitazione vestibolare, riabilitazione visuo-posturale, riabilitazione del pavimento pelvico, fisioterapia dermato funzionale, sono solo un elenco parziale di particolari ambiti in cui la fisioterapia si sta spingendo nell’ottica di fornire sempre un servizio clinici migliori per pazienti.

Alcune specializzazioni, come la riabilitazione sportiva ad esempio sono più note di altre, per questo l’impegno editoriale del futuro sarà orientato a far emergere anche le specializzazioni della fisioterapia meno conosciute.

 

La teleriabilitazione

La teleriabilitazione rientra nel campo della Telemedicina (Telehealth) ed è una forma di intervento di natura fisioterapica in risposta alla domanda di riabilitazione.

Più in generale la telemedicina è la comunicazione online tra il clinico e il paziente, sia dal vivo          ( tramite diretta), che in sessione preregistrate rispetto alla normale assistenza di persona con rapporto 1:1. I vantaggi della Telehealth comprendono una migliore accessibilità in aree remote, efficienza in termini di costi e maggiore convenienza per chi è allettato e per i disabili.

Alcune considerazioni per la telehealth includono: prove limitate ad oggi presenti per dimostrare l’efficacia e la sua conformità rispetto la terapia di persona, problemi di licenza e politica di pagamento e di privacy.

Gli studi sull’efficacia della telehealth sono molto promettenti in diversi contesti clinici e patologici come nei pazienti in condizioni gravi, ictus, sclerosi multipla ed arto fantasma, oppure negli esiti post chirurgici di protesi totali di ginocchio e nei disordini muscolo-scheletrici come il mal di schiena.

La tele-riabilitazione si è dimostrata efficace o in alcuni casi superiore rispetto la fisioterapia 1:1 di persona col terapista nella riabilitazione delle protesi totali di ginocchio.

Considerando che solo negli USA nel 2017 sono state eseguite circa 700.000 protesi di ginocchio all’anno e che in Italia siamo tra le popolazioni più anziane al mondo, la tele riabilitazione potrebbe inserirsi e calarsi in questa realtà con soddisfacenti e sicuri risultati per la salute del paziente.

 
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Lo strappo muscolare cos’è, come curarlo, come evitarlo https://www.fabiobarigelli.com/lo-strappo-muscolare-cose-come-curarlo-come-evitarlo/ Sat, 27 Mar 2021 08:44:10 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=4286

Introduzione – Lo strappo muscolare cos’è, come curarlo, come evitarlo

Lo strappo muscolare, (insieme alla contrattura muscolare), è una lesione del muscolo molto frequente in chi pratica sport.

Questo evento può accadere quando le fibre muscolari non sono in grado di far fronte alle richieste imposte da un sovraccarico di esercizio.

Lo strappo muscolare può essere un evento molto doloroso in quanto provoca una vera e propria rottura delle fibre muscolari.

Si verifica principalmente come risultato di una potente contrazione o di un eccessivo allungamento del muscolo.

Possiamo sostenere che è un trauma tipico degli sport senza contatto, con caratteristiche dinamiche come lo sprint e il salto.

Anche se tutti i muscoli scheletrici del corpo possono essere vittima di uno strappo muscolare,  generalmente i muscoli più coinvolti sono quelli degli arti inferiori (flessori, bicipite femorale, quadricipite, adduttore, gemello) o degli arti superiori (tricipite brachiale, deltoide e pettorale), raramente quelli della colonna e del distretto addominale.

Il fisioterapista è in grado di valutare e andare ad agire su uno strappo muscolare.

In cosa consiste lo Strappo muscolare?

Gli strappi muscolari interessano solo i muscoli scheletrici, ossia i muscoli striati volontari che permettono il movimento e il mantenimento della postura del corpo. I muscoli scheletrici hanno dimensioni e forme diverse. I più grandi possono essere composti da centinaia di migliaia di fibre. Quando queste fibre si rompono, si parla di strappo muscolare.

La capacità del muscolo di accorciarsi e quindi di compiere le proprie funzioni, si definisce contrazione muscolare

 I muscoli scheletrici hanno la caratteristica di saper rispondere con eccezionale velocità agli impulsi nervosi, contraendosi rapidamente e intensamente. Pertanto sono gli impulsi nervosi che consentono agli atleti di correre, calciare, lanciare, ma anche semplicemente camminare e respirare.

Se l’impulso nervoso però determina uno sforzo in allungamento che il muscolo non è pronto a fare, si verifica lo strappo muscolare.

Lo strappo muscolare è, pertanto, una lesione indotta dalla contrazione muscolare causata da un intenso stress meccanico. Il muscolo che subisce uno strappo può non essere pronto perché non è adeguatamente allenato, o riscaldato oppure semplicemente perché inizia a essere stanco a fine allenamento.

Lo strappo muscolare può riguardare qualsiasi muscolo scheletrico del corpo, ma generalmente sono più soggetti a strappo i muscoli di gambe e braccia. Eccezionalmente si osservano strappi a muscoli di addome e schiena.

Peggiore è la tensione, più fibre muscolari vengono strappate. In caso di grave tensione, l’intero muscolo potrebbe rompersi e strapparsi letteralmente a metà.

 

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Classificazione degli strappi muscolari

La gravità di uno strappo muscolare può essere valutata in base al numero di fibre danneggiate, ma anche in base alla perdita di forza e flessibilità del paziente.

Possiamo quindi classificare gli strappi muscolari in:

Strappo muscolare di I grado: il numero di fibre danneggiate è basso. Non c’è diminuzione della forza e della flessibilità nel paziente. La lieve lesione determina poco dolore e consente di proseguire l’attività fisica. Sarebbe comunque meglio interromperla e far valutare la lesione a personale medico al fine di evitare un peggioramento della condizione. Quando il numero delle fibre rotte è inferiore al 5% si parla di distrazione muscolare.

Strappo muscolare di II grado: il numero di fibre danneggiate è maggiore (tra il 5% e il 50%). Si avverte un forte dolore nella zona interessata e nella maggior parte dei casi c’è la formazione di un ematoma (a volte non visibile). Questo grado di lesioni determina una significativa perdita di forza e movimento, risulta quindi impossibile continuare l’attività fisica. Anche a riposo l’area colpita può essere contratta, rigida e dolorante.

Strappo muscolare di III grado: rottura completa o subtotale (3/4 delle fibre) di un muscolo. Si avverte dolore molto intenso, impotenza funzionale e si osserva la formazione di un ematoma importante. Si può anche notare un avvallamento nella sede della lesione. Queste lesioni a volte richiedono un intervento chirurgico.

Infine si parla di stiramento (o elongazione muscolare) quando non vi è rottura delle fibre muscolari, ma solo un allungamento forzato: le fibre non si rompono ma si trovano costrette oltre la loro capacità elastica.

Cause degli strappi muscolari

La causa principale di uno strappo muscolare è un uso del muscolo oltre le sue possibilità.                                      

  • Movimenti bruschi e violenti.
  • Azione sbagliata durante attività fisica (salto, perdita di equilibrio, lancio).
  • Mancanza della fase di riscaldamento prima dell’attività fisica.
  • Mancanza della fase di stretching dopo l’attività fisica.
  • Preparazione fisica non idonea (età, tonicità muscolare, problemi articolari, squilibri posturali e muscolari).
  • Condizioni ambientali sfavorevoli (sbalzi di temperatura, umidità).
  • Postura scorretta.
  • Scarsa flessibilità.
  • Abbigliamento e calzature non adatte.
  • Mancanza di coordinazione.

Gli strappi muscolari delle gambe sono più comuni nelle persone che praticano sport come la corsa, la danza e lo sci nautico. Possono verificarsi strappi ai muscoli dell’addome quando si gioca a pallavolo, tennis, golf o baseball o durante le immersioni. Strappi lombari si osservano negli sport in cui vengono sollevati oggetti pesanti o durante la lotta.

Sebbene il rischio di strappo muscolare sia particolarmente elevato durante le attività sportive, si può verificare anche sollevando un carico pesante o semplicemente scendendo da un marciapiede.

Sintomi degli strappi muscolari

I sintomi degli strappi muscolari includono:

  • Dolore acuto e improvviso che peggiora mentre si contrae il muscolo.
  • Perdita di forza e libertà di movimento.
  • Impotenza funzionale.
  • Gonfiore, lividi o arrossamento.
  • Dolore a riposo.
  • Incapacità di usare il muscolo.

Quando il muscolo subisce uno strappo, i pazienti spesso riferiscono un dolore simile a quello di una “pugnalata”.

Diagnosi ,Cura e terapia dello strappo muscolare

Come curare uno strappo muscolare

Il trattamento di uno strappo muscolare dipende dalla diagnosi accurata del medico e la valutazione del fisioterapista. La gravità dello strappo e le conseguenze a cui il muscolo infortunato dovrà far fronte influiranno sulla durata del processo di guarigione e della riabilitazione.

Il grado di lesione di uno strappo muscolare e la terapia più adeguata possono essere stabiliti solo tramite un’ecografia e risonanza magnetica

La fisioterapia per gli strappi muscolari

La cura dello strappo muscolare prevede 2 fasi:

FASE 1

Il trattamento di prima linea per uno strappo muscolare nella fase acuta comprende cinque passaggi comunemente elencati nell’acronimo noto come P.R.I.C.E. dove:

P sta per PROTEZIONE, ossia proteggere la lesione da ulteriori traumi, applicando una morbida imbottitura per ridurre al minimo l’impatto con eventuali oggetti

R sta per RIPOSO, il riposo è necessario per accelerare la guarigione e ridurre il rischio di recidive

I sta per ICE (GHIACCIO), applicare ghiaccio per indurre la vasocostrizione, contrastare l’infiammazione e far diminuire il dolore (mai per più di 20 minuti alla volta)

C sta per COMPRESSIONE, avvolgere la zona interessata con una fasciatura morbida per ridurre ulteriormente il flusso sanguigno e favorire il drenaggio linfatico

E sta per ELEVAZIONE, tenere il muscolo elevato nei momenti di riposo per favorire il ritorno del sangue venoso alla circolazione sistemica.

A questo primo trattamento può essere associata una terapia aggiuntiva con farmaci FANS come ibuprofene e/o paracetamolo che agiscono per ridurre l’infiammazione immediata (previa consultazione con medico o farmacista).

FASE 2

Finita la fase acuta, il fisioterapista può intervenire e attuare la fase di riabilitazione che si realizza in pratiche riabilitative o mediante terapia fisica.                             

 

                                                              Le pratiche riabilitative prevedono un iniziale rinforzo specifico e indolore della zona interessata, ma non solo. Si andranno, infatti, ad allenare anche i muscoli profondi della schiena e dell’addome, che hanno il compito di dare stabilità ai movimenti delle articolazioni di arti superiori e inferiori. Successivamente il fisioterapista proporrà al paziente esercizi di rinforzo specifici via via sempre più intensi fino a riallenare il gesto che ha prodotto la lesione.

Le migliori terapie fisiche adottate dai fisioterapisti in casi di strappi muscolari sono:

Solitamente nelle prime fasi si lavora a livello perimetrale rispetto alla lesione.

Infine è sempre consigliato un programma di mantenimento.

Tornare all’attività sportiva in maniera indolore può far dimenticare il lavoro di riabilitazione e prevenzione svolto. Sarebbe auspicabile continuare a osservare le pratiche suggerite dal fisioterapista per evitare ulteriori infortuni.

Lesioni muscolari complete possono portare a una significativa compromissione funzionale e richiedere un intervento chirurgico.

Inoltre, sulla base dell’esperienza clinica, si è osservato che iniezioni di plasma ricco di piastrine sono in grado di aiutare ad accelerare la rigenerazione del tessuto muscolare danneggiato.

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La prevenzione

Prevenire lo strappo muscolare

Assumendo alcune precauzioni è possibile diminuire la probabilità di subire uno strappo muscolare:

  • Fare stretching dopo l’attività fisica.
  • Riscaldare sempre i muscoli prima dell’attività fisica.
  • Se si inizia un nuovo sport, sviluppare l’attività un po’ alla volta.
  • Comprendere i limiti del proprio corpo.
  • Non rimanere seduti in una posizione troppo a lungo.
  • Sollevare gli oggetti con attenzione.
  • Prendere precauzioni per evitare cadute (come tenere i corrimano sulle scale, evitare superfici scivolose e mantenere i pavimenti sgombri).
  • Perdere peso se si è in sovrappeso.
  • Indossare scarpe della misura giusta.

Dopo una lesione muscolare è fondamentale eseguire un percorso riabilitativo mirato, non solo fino alla scomparsa del sintomo. È importante seguire le indicazioni del fisioterapista anche nelle fasi avanzate del trattamento per un recupero funzionale completo, necessario per una riduzione importante delle eventuali recidive.

Nella fase post-acuta il fisioterapista potrà utilizzare diverse tecniche o metodiche riabilitative per ottimizzare i risultati quali:

Anche l’idrokinesiterapia è un ottimo supporto al percorso terapeutico sia nelle prime fasi di trattamento che nelle fasi di allenamento post infortunio.

Il mio studio Kinesis fisioterapia e osteopatia è centro specializzato fisioterapiaitalia

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Borsite alla spalla – Cos’è e come si cura con la fisioterapia https://www.fabiobarigelli.com/borsite-alla-spalla/ Mon, 11 Jan 2021 15:47:07 +0000 http://www.fabiobarigelli.com/?p=3940
  1.  

Introduzione 

La borsite sub-acromiale (borsite S.A.D.), conosciuta anche come borsite alla spalla, è una delle patologie dell’articolazione della spalla più comuni.

Il dolore alla spalla può a avere diverse cause ma se è affrontato correttamente, grazie ad un percorso fisioterapico mirato, può essere risolto in tempi brevi evitando la cronicizzazione della patologia.

Anatomia spalla

  • INDICE
  • INTRODUZIONE
  • COS’È LA BORSITE
  • CLASSIFICAZIONE DELLA BORSITE ALLA SPALLA
  • CAUSE DELLA BORSITE ALLA SPALLA
  • SINTOMI DELLA BORSITE ALLA SPALLA
  • DIAGNOSI DI BORSITE
  • TRATTAMENTO DELLA BORSITE

Cos’è la borsite

Si definisce con questo termine, l’infiammazione della borsa sierosa di un’articolazione, nella spalla la borsa è quella subacromiale che si trova tra l’acromion, e i muscoli deltoide e sovraspinoso.

Ci sono 160 borse sierose nel corpo umano. Le più grandi si trovano vicino ai tendini delle grandi articolazioni, come le spalle, i gomiti, i fianchi e le ginocchia ,la loro azione permette un migliore di scorrimento tra le varie strutture anatomiche.

La loro funzione è quindi quella di diminuire l’attrito tra le ossa, tendini e muscoli, al loro interno infatti è presente una sostanza, chiamata sinovia, che  lubrifica e riduce le compressioni meccaniche a cui viene sottoposta l’articolazione durante il movimento.

Le borse sierose della spalla (borse sub-acromiali), sono situate sotto l’acromion (un’escrescenza della scapola), fra il deltoide e il sovra-spinoso, ossia fra i muscoli che permettono i movimenti della spalla. Spesso oltre la borsite  sono presenti anche problemi della cuffia dei rotatori, in quel caso si parla o meglio si parlava, visto che è un termine non più utilizzato, di “periartrite scapolo-omerale”, a indicare una generale infiammazione delle strutture delle spalla.

Per questa patologia della spalla è necessaria una stretta collaborazione tra ortopedico o fisiatra e fisioterapista per ottimizzare al massimo la valutazione clinica del paziente.

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Classificazione della borsite alla spalla

L’irritazione della borsa sub-acromiale può essere suddivisa in tre gruppi:

  • Il primo tipo, la borsite cronica, può dipendere da molti fattori

    Questa condizione è la più comune e si sviluppa nel tempo a causa dell’irritazione ripetitiva della borsa. Nella  maggior parte delle persone che presenta questo tipo di borsite non ci sono problemi predisponenti e l’infiammazione si verifica senza una ragione apparente. In realtà molto spesso le persone che hanno una quadro di borsite cronica, hanno un’ alterata qualità del movimento, con conseguente sovraccarico funzionale che può  fare gonfiare la borsa.

  • Il secondo tipo è noto come borsite infetta ed è più grave

    In questa condizione, la borsa è infettata da batteri. Se l’infezione si diffonde, può causare altri problemi. In questo tipo di borsite è indicata una terapia antibiotica, meglio se prescritta dopo l’esame del liquido della borsa.

L’ultimo tipo, che troviamo soprattutto negli atleti, è noto come borsite traumatica (o borsite traumatica acuta). 

Dei tre tipi, è il meno comune. È dovuto ad un trauma diretto, allo sfregamento ripetitivo di un’estremità contro una superficie dura o all’eccessiva mobilità dell’articolazione.

Cause della borsite alla spalla

La causa scatenante molto spesso, è il sovraccarico dell’articolazione. Una postura errata può coadiuvare l’insorgere dell’infiammazione, ma grazie al controllo motorio e alla ginnastica posturale è possibile ritrovare il giusto equilibrio per prevenire e/o trattare questa patologia.                                                         

Vediamo le cause della borsite alla spalla:

  • Trauma. La borsa si potrebbe irritare e infiammarsi o addirittura produrre un versamento ematico a causa di un incidente,  .
  • Articolazione infiammata. Quando l’intera articolazione è infiammata, la borsa può a sua volta infiammarsi, per alterazioni del movimento e della funzionalità.
  • Sovraccarico. La ripetizione di un certo movimento può portare all’infiammazione della borsa a causa dell’attrito tra la stessa da un lato e un tessuto dall’altro (un tendine, un osso, un legamento).
  • Tendiniti recidivanti o altre patologie articolari a livello della spalla.
  • Disturbi cervicali, possono alterare la normale biomeccanica ed essere concausa dell’inizio della borsite della spalla.
  • Presenza di calcificazioni, valutabili attraverso ecografia o risonanza magnetica.
  • Utilizzo eccessivo dello Smartphone, questo tipo di postura influenza negativamente tutto il distretto cervicale, spalle e colonna dorsale.
  • Utilizzo del Mouse, può provocare un’epicondilite al gomito, il gomito del tennista che a sua volta può cambiare la postura della spalla, a causa del dolore al gomito, e creare un sovraccarico della borsa della spalla.
  • Poggiarsi sui gomiti per lunghi periodi. Esercizi come il plank sono utili per l’allenamento di più gruppi muscolari ma devono essere svolti in modo graduale, rispettando eventualmente la debolezza iniziale dei muscoli della spalla.
  • Tipo di attività professionale (ad esempio pittore, giardiniere, falegname) possono essere attività usuranti per questo distretto anatomico.
  • Tipo di attività fisica praticata (come tennis, squash, padel, baseball, pallanuoto, pallavolo, ciclismo, sport di lancio).

 

Altre cause della borsite

La borsite può anche essere associata ad altri problemi, come ad esempio patologie sistemiche (artrite, gotta, diabete e malattie della tiroide). In molte persone con questi problemi, abbiamo alterazioni chimiche o ormonali che possono facilitare l’insorgenza della patologia.

Sintomi della borsite alla spalla

La borsite alla spalla si verifica più frequentemente nelle persone di età superiore ai 30 anni, e in particolar modo nelle donne. I pazienti più giovani e di mezza età hanno molte più probabilità di soffrire di borsite acuta rispetto ai pazienti più anziani, che svilupperanno più facilmente la sindrome della cuffia dei rotatori cronica.

I sintomi sono piuttosto evidenti e i pazienti affetti da questa patologia spesso hanno delle condizioni molto comuni:

  • Dolore della zona anteriore della spalla, durante il movimento.
  • Calore sulla zona infiammata.
  • Disagio quando si è sdraiati sulla spalla.
  • Dolore che peggiora quando si solleva il braccio di lato.
  • Dolore quando si spinge o si apre una porta e se si fa un cerchio con il braccio.
  • Pressione e dolore quando si spinge sulla parte superiore della spalla.

Il dolore può essere lieve fino a diventare insopportabile e impedire qualsiasi tipo di movimento della spalla. Di solito aumenta di notte, quando la borsa si riempie di liquido sinoviale e al risveglio rende impossibile e molto doloroso qualsiasi movimento. La situazione migliora quando si eseguono movimenti (attivi o passivi). La borsa, infatti, si svuota leggermente, rilasciando il liquido sinoviale, facilitando la fluidità dei movimenti.

Diagnosi di borsite

La diagnosi della borsite alla spalla prevede una visita ortopedica. L’ortopedico può approfondire la sua diagnosi mediante l’anamnesi (raccolta particolareggiata delle notizie che riguardano il paziente) e mediante l’utilizzo di esami:

  • Ecografia, che evidenzia la distensione delle strutture coinvolte e infiammate.
  • Lastra/RX, non può stabilire positivamente la diagnosi di borsite ma può aiutare a escludere altre patologie.
  • Risonanza magnetica, in caso di dubbi diagnostici.
  • Esami di laboratorio, il medico può prescrivere esami del sangue o un’analisi del fluido dalla borsa infiammata per individuare la causa dell’infiammazione e del dolore articolare.

Trattamento della borsite

La borsite alla spalla è uno dei problemi più comuni con i quali s’interfacciano i fisioterapisti.

       Il trattamento della borsite prevede quindi 2 importanti fasi:

I FASE – TRATTAMENTO DELLA FASE ACUTA .

Nella fase iniziale, molto probabilmente, non si è in grado di sollevare il braccio o dormire comodamente. Il sollievo dal dolore è  la priorità per i pazienti che soffrono di borsite acuta alla spalla. Si dovrà quindi rispettare i seguenti punti:

RIPOSO: primo obiettivo è evitare attività e posizioni che schiaccino o irritino la borsa della spalla. Il fisioterapista è di aiuto grazie a suggerimenti riguardo il riposo attivo per aiutare a prevenire posture e movimenti che provocano dolore. Nella maggior parte dei casi, questo significa smettere di fare l’azione o l’attività che ha provocato il dolore alla spalla e non bloccare totalmente tutte le attività. Questo per evitare un’ importante perdita di articolaritá che dovrà poi essere recuperata durante le successive fasi della riabilitazione.

FASCIATURA: potrebbe essere necessario indossare un’imbracatura o una fascia da mettere sulla spalla per fornire sollievo dal dolore. In alcuni casi può essere auspicabile dormire in modo relativamente eretto o con il supporto del cuscino. Il fisioterapista può consigliare adeguatamente il comportamento da adottare per evitare inutili perdite del range articolare.

IMPACCHI DI GHIACCIO (crioterapia) : utile per il controllo del dolore in particolare durante la fase acuta. Di solito si consiglia di applicare ghiaccio per 15-20 minuti, poi fare una pausa dello stesso tempo e ripetere il tutto per 3/4 volte.

INFILTRAZIONI: il processo di guarigione può essere aiutato mediante infiltrazioni di Cortisone direttamente nella spalla (eseguite da un medico). Le infiltrazioni non sono da considerarsi la cura unica, piuttosto un ausilio alla fisioterapia.

FARMACI: Farmaci antinfiammatori (se tollerati) e sostanze naturali (come l’arnica), possono aiutare a ridurre il dolore e il gonfiore. La maggior parte dei pazienti può tollerare il paracetamolo come farmaco antidolorifico. Si prega di consultare il medico o il farmacista

 

II FASE – RIGUADAGNARE L’INTERA GAMMA DI MOVIMENTO TRAMITE LA FISIOTERAPIA.

                                                                                                                                                                                                                                                     La fisioterapia o meglio il fisioterapista ha un ruolo fondamentale nella cura della borsite alla spalla.

dolore alla spalla

In base alla esigenze del paziente e alla sua condizione il fisioterapista può attuare una serie di strategie mirate. È importante sottolineare che il fisioterapista attraverso la sua valutazione funzionale sceglie il percorso terapeutico più adatto ad ogni paziente selezionando le tecniche manuali e le tecnologie specifiche per ogni caso clinico.

Gli strumenti utili al fisioterapista per guarire la borsite alla spalla possono essere sia manuali, sia esercizi terapeutici specifici:

Il fisioterapista può anche avvalersi dei seguenti strumenti terapeutici:

  • Laserterapia.
  • Ultrasuonoterapia.
  • Tecarterapia.
  • Trattamento con onde d’urto.
  • Ipertermia

Le tecnologie possono essere utilizzate sia per la gestione del dolore e dell’infiammazione nella fase acuta ma anche quando la borsite alla spalla diventa cronica. Questa diverso approccio terapeutico è gestito dal fisioterapista attraverso le impostazioni delle modalità di emissioni, della potenza e della frequenza dei vari dispositivi elettromedicali.

Sebbene non tutti i tipi di borsite possano essere prevenuti, si può ridurre il rischio e la gravità delle riacutizzazioni modificando il modo in cui si svolgono determinate attività (sollevamento carichi pesanti, alternare compiti ripetitivi con riposo o altre attività, fare esercizio per allenare i muscoli attraverso la riabilitazione funzionale fare riscaldamento e stretching prima dell’attività fisica per proteggere le articolazioni da eventuali lesioni).

Il fisioterapista sa consigliare dettagliatamente come prevenire questo tipo di patologia e come curarla nel caso la borsite alla spalla si manifesti.

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Condropatia rotulea Cure e Rimedi https://www.fabiobarigelli.com/condropatia-rotulea-cure-e-rimedi/ Mon, 28 Dec 2020 19:41:55 +0000 http://www.fabiobarigelli.com/?p=3922

Introduzione – Condropatia rotulea cure e rimedi

La condropatia rotulea è una condizione dolorosa del ginocchio determinata da una sofferenza della cartilagine che si trova al di sotto della rotula.

La rotula nella zona posteriore, il versante che non possiamo toccare con le mani, è a contatto con i condili femorali formando la troclea femorale responsabile della trasmissione della forza del muscolo quadricipite verso la gamba.

Quando la  rotula ènon è allineata rispetto ai condili del femore, può presentare delle alterazioni del movimento e causare dolore. La condropatia è la conseguenza della sindrome rotulea.

La condropatia del ginocchio  inizialmente può essere asintomatica, il danno alla cartilagine provoca dolore solo in una fase più avanzata. Maggiore è il danno, maggiore è il dolore.

La cartilagine può fessurarsi e nei casi più gravi portare allo sfregamento delle ossa, con conseguente dolore.

 Il dolore nella parte anteriore del ginocchio è comune nelle giovani donne e in entrambi i sessi durante la pubertà. Per ragioni biomeccaniche sono colpiti molti  atleti (calciatori, sciatori, corridori) o persone che lavorano in ginocchio.

Che cos’è la condropatia rotulea

Nelle articolazioni la cartilagine ha un vero ruolo protettivo, è situata alle estremità delle ossa e permette un funzionamento ottimale dell’articolazione impedendo alle ossa di sfregarsi l’una contro l’altra durante il movimento. quindi le ossa scivolano perfettamente e ogni movimento può essere eseguito facilmente. In alcune patologie della cartilagine, come la condropatia rotulea, la condropatia femoro-rotulea o la condropatia femorale tibiale, la cartilagine viene colpita e si indebolisce. 

Può essere associata all’osteoartrosi, anche se presenta aspetti differenti.

L’osteoartrosi si riferisce infatti allo stadio avanzato della patologia mentre la condropatia è più rappresentativa della malattia al suo esordio. La condropatia può essere distinta in un ginocchio in diverse forme di patologia.

  • La condropatia rotulea comporta la degenerazione della cartilagine nella rotula.
  • La condropatia femoro-rotulea è una patologia che colpisce l’articolazione femoro-rotulea, che fornisce la connessione tra il femore e la rotula.
  • La condropatia femoro tibiale colpisce l’articolazione che si trova tra il femore e la tibia. Questa patologia, che logora e distrugge la cartilagine dell’articolazione, generalmente progredisce lentamente e può portare, soprattutto nel caso della condropatia femoro-rotulea, all’osteoartrosi del ginocchio.

Condropatia rotulea sintomi

                                                                                                                                                                                               Il dolore si può presentare in diversi modi:

  • Dolore dietro la rotula, spesso viene percepito come dolore da pressione quando si muove il ginocchio contro una resistenza.
  • il dolore si può presentare anche a riposo, durante e soprattutto dopo essere stati seduti a lungo, ad esempio guida in auto, voli di lungo raggio, cinema, lavoro al computer.
  • Il dolore durante lo svolgimento delle normali di attività di vita quotidiana, come piegarsi piegando le ginocchia per raccogliere un oggetto a terra, è spesso in entrambe le ginocchia.
  • il dolore accentuato in posizione accovacciata oppure quando si cammina in discesa, quando si scia, quando si scendono le scale, quando si va in bicicletta e quando si guida in macchina (frizione, accelerazione).
  • Possibile attrito e fastidioso crepitio, dietro la rotula quando il soggetto piega o allunga l’articolazione del ginocchio.

RISOLVI IL TUO PROBLEMA!

                                                                                                                                                                                       Cause di condropatia rotulea

Le cause sono spesso sconosciute. Sforzi atletici o professionali eccessivi favoriscono tale usura della cartilagine.Inoltre, gli atleti soffrono spesso di dolore dietro la rotula a causa di un lavoro eccessivo sui tendini rotulei.

Questa patologia si riscontra molto frequentemente in atleti come calciatori, podisti, sciatori o professionisti sportivi di alto livello, ma anche in soggetti la cui attività coinvolge molto la flessione della gamba, come ad esempio piastrellisti che sono costantemente a terra. È ovvio che le articolazioni si indeboliscono nel tempo e quindi l’età è un fattore di rischio per l’insorgenza della condropatia.

Tra questi fattori di rischio possiamo includere anche il sovrappeso.  l’eccessivo peso del corpo crea un sovraccarico sulle ginocchia e contribuisce all’insorgenza della patologia. Anche altri fattori come traumi all’articolazione, instabilità del ginocchio o movimenti mal condotti durante attività come lo sport, possono favorire l’insorgenza della patologia. Ma il dolore può verificarsi anche in assenza di uno sforzo prolungato. In questi casi, le malformazioni o le deformazioni della rotula sono spesso la causa.

Dopo incidenti o traumi (anche microtraumi), può verificarsi anche dolore al ginocchio. Anche l’invecchiamento e la predisposizione genetica possono provocare danni alla cartilagine. È importante, capire se ci sono concause lontane dal ginocchio che possono contribuire il manifestarsi della patologia.

Il fisioterapista attraverso una valutazione riabilitativa è in grado di valutare la postura e le disfunzioni di movimento e creare il percorso terapeutico adatto ad ogni individuo. Troppo spesso ci si concentra solo sul potenziamento del muscolo quadricipite e si perde di vista l’uomo nella sua globalità.

Diagnosi

La diagnosi di questa patologia viene effettuata inizialmente con un esame clinico, durante il quale il medico effettua una serie di domande al paziente al fine di valutare il grado di disagio e dolore, vengono effettuate anche alle palpazioni per localizzare i dolori descritti dal soggetto dolorante. Durante questo esame il medico può anche percepire i rumori di sfregamento dietro la rotula, a conferma della presenza della patologia.

Successivamente lo specialista può prescrivere ulteriori esami di imaging. Sono importanti perché consentono di valutare le condizioni generali dell’articolazione e di avere una visione d’insieme della progressione della patologia. 

Tra questi esami di imaging, possono essere utili la radiografia della rotula e del ginocchio e se necessario, è possibile anche eseguire una TAC o una risonanza magnetica per valutare lo spessore della cartilagine e le sue condizioni generali.

RISOLVI IL TUO PROBLEMA!

                                                                                                                                                                                     Rimedi e cure

Sono possibili diverse opzioni di trattamento. 

Gli esercizi fisioterapici possono essere utili dopo un breve periodo di riposo del ginocchio possibilmente stabilizzato mediante tutore o bendaggio. Un’ortesi rotulea, tutore, consente da un lato di aumentare la superficie di contatto del giunto femore rotuleo, e d’altra parte di ridistribuire le forze su una maggiore superficie e quindi ridurre i vincoli della stessa articolazione.

Quindi, in teoria, se un’ortesi di stabilizzazione rotulea può ridurre lo stress da contatto all’interno dell’articolazione in caso di condropatia o artrosi femoro-rotulea, può portare ad una diminuzione del dolore correlato alla sindrome femoro-rotulea.

Gli esercizi di forza mirati e di stretching migliorano sicuramente il quadro clinico riducendo la pressione sull’articolazione. Nella gestione del paziente in fase acuta possono essere utilizzate le seguenti terapie fisiche:

Tecarterapia

Laserterapia

Ultrasuonoterapia  

Magnetoterapia

Le sedute di fisioterapia consentono di ottenere buoni risultati, sia sulla mobilità dell’articolazione interessata che sul dolore. Questa riabilitazione consente da un lato di allungare i muscoli della parte posteriore del ginocchio e della coscia, e dall’altro di sviluppare i muscoli situati nella parte anteriore della coscia e che formano il quadricipite.

“La prevenzione è lo strumento più efficace per prevenire la condropatia del ginocchio. Evitando sicuramente il sovrappeso e le attività usuranti che generano sovraccarico funzionale della rotula. In tutti i casi è sempre utile praticare in modo moderato alcuni sport come il nuoto, la camminata e il ciclismo che rafforzano sufficientemente i muscoli della coscia ed evitano di esercitare una pressione eccessiva sull’articolazione, che è fonte di usura a lungo termine della cartilagine”. 

La chirurgia  può essere indicata,anche se negli ultimi anni è stata preferita,laddove possibile,una terapia conservativa. La prevenzione resta la migliore via da percorrere.

Gli analgesici sono raramente indicati. Un anestetico locale può essere iniettato solo in caso di dolore intenso . Alcuni farmaci come la condroitina solfato e le iniezioni di acido ialuronico possono essere di aiuto per migliorare lo scorrimento delle superfici ossee e preservare la cartilagine. 

La prevenzione

La condropatia è una patologia che può essere prevenuta, così come è possibile ridurre il dolore, limitare il rischio di lesioni e preservare l’articolazione, in particolare se ci sono già avvisaglie o segni clinici che possano far pensare di avere questa patologia. Evitare:

  • Sforzi eccessivi: evitare di salire le scale o accovacciarsi, soprattutto quando si trasportano carichi.
  • Ruotare la parte superiore del corpo mantenendo le gambe fisse.
  • Saltellare su una gamba.
  • La pratica di alcuni sport che mettono a dura prova le ginocchia come calcio, sci, tennis o jogging intenso.

Promuovere:

  • Sport come nuoto, passeggiate, ciclismo solo quando il dolore è diminuito.
  • Escursionismo: in discesa è fondamentale utilizzare i bastoncini per scaricare il peso sulle ginocchia.
  • Le donne dovrebbero indossare scarpe basse; e non indossare i tacchi alti durante la fase iniziale della patologia.
  • Riposo mirato: continua sempre a fare movimenti, ma senza affaticare troppo il ginocchio; possibilmente indossare un tutore leggero che sostiene il ginocchio può rappresentare un utile aiuto.

RISOLVI IL TUO PROBLEMA!

                                                                                                                                                                           Conclusioni

La fisioterapia è l’approccio migliore per il trattamento di questa patologia. Oltre alla riabilitazione funzionale sicuramente la terapia manuale può fornire un valido contributo. Va ricordato che la terapia manuale non è il trattamento svolto con le mani dal fisioterapista. Si tratta invece di una metodologia di approccio al paziente che parte da un ragionamento clinico molto approfondito e poi si concretizza nel percorso terapeutico dedicato ad ogni paziente che include tecniche manuali sulle strutture anatomiche ma anche allenamento terapeutico o bendaggi funzionali.

I bendaggi effettuati dal fisioterapista per il trattamento della condropatia rotulea, come dimostrato da diversi studi scientifici, va a insistere sui rapporti anatomici e di allineamento tra rotula e condili femolari, ma anche tra femore e tibia. Senza scendere eccessivamente in aspetti tecnici il messaggio importante da far passare è che un fisioterapista esperto è il professionista sanitario più adatto a cui affidarsi in caso di condropatia rotulea.

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La Cervicale e il Dormire bene https://www.fabiobarigelli.com/la-cervicale-e-il-dormire-bene/ Sat, 07 Nov 2020 13:53:07 +0000 http://www.fabiobarigelli.com/?p=3897

Introduzione - CERVICALE E SONNO, quali posizioni possono essere utili per dormire meglio?

La cervicale è la zona della colonna vertebrale che parte dalla base della testa e arriva nel punto dove il collo si unisce al tronco all’altezza delle spalle. Se la notte hai un sonno disturbato e al mattino ti sei svegliato con il collo rigido, con dolori cervicali e magari anche con il mal di testa, che può durare  per tutta la giornata, questo articolo è utile per te.

Spesso questi disturbi sono frequenti in quei pazienti che già soffrono con disturbi del tratto cervicale.

Quante volte parlando con amici e familiari o riflettendo con te stesso hai dato la colpa al cuscino, al materasso o al fatto che dormi in una brutta posizione? Probabilmente almeno una volta!

 In realtà nessuno di questi elementi sembrano essere la vera causa del tuo continuo dolore cervicale e dei tuoi fastidiosi mal di testa mattutini.

Questo articolo ti aiuterà a comprendere cosa realmente può provocare problemi al risveglio e come fare per poter stare meglio ed avere un sonno più rigenerante, sfatando così una volta per tutte una serie di falsi miti.

Importante premessa…

Molto spesso i pazienti  pongono questo tipo di domande:

  1. Mi consigli una posizione in cui dormire per poter sfiammare la mia ernia cervicale?
  2. Se appoggio la testa sul cuscino mi fa male la cervicale, come posso farla passare?
  3. Quando mi stendo sul letto mi fa male la scapola e anche il collo, cosa posso fare?
  4. Ho una contrattura al trapezio che non mi fa risposare, come posso sfiammarla rapidamente?
  5. Ho mal di testa solo da sdraiata con dolore alla nuca e nausea, come posso guarire?

Risolvi adesso il tuo problema!

                     

 

                           Punto 1: Posso decidere in che posizione dormire e mantenerla per tutta la notte?

Quando ti svegli con i dolori al collo bisogna evitare dare la colpa alla posizione in cui dormi, il nostro corpo è vigile e in grado di distinguere automaticamente le posizioni buone da quelle che vanno evitate, del resto, perché il corpo dovrebbe assumere una posizione che percepisce come dannosa o fastidiosa ?

Quando invece si ha un sonno disturbato a causa della cervicale molto spesso è direttamente collegato all’infiammazione dei muscoli o delle strutture anatomiche della cervicale stessa. In questa situazione, qualsiasi posizione può provocare dolore o sensazioni sgradevoli e trovare una posizione confortevole è sempre più difficile. È proprio per questo che spesso durante la notte, quando la cervicale è molto irritata, ti puoi svegliare più volte a causa del dolore.

Quando i muscoli e le vertebre cervicali sono in buono stato, i meccanismi e le posizioni che si assumono durante il sonno non sono un problema e si è in grado di dormire ovunque, anche sui sassi. Invece, quando a causa di diverse patologie, come la cervico-brachialgia, artrosi cervicale o ernia del disco le condizioni sono meno buone, hai proprio bisogno di un fisioterapista qualificato ed esperto nel trattamento dei disturbi cervicali.

             Punto 2: Ho davvero bisogno di un cuscino cervicale e di un materasso ortopedico per dormire bene?

La riposta è ovviamente no.

Non sei nato con il dolore cervicale, quindi perché il cuscino che non ti ha mai causato problemi, improvvisamente dovrebbe diventare la causa dei tuoi mali?

Quindi, che tipo di cuscino cervicale devo usare?

Nessuno in particolare poiché ogni cuscino cervicale è standard e consigliare cuscini cervicali uguali per tutti con più o meno curvature per il collo è un errore e in alcuni casi può addirittura peggiorare la situazione, non tutte le persone hanno un’uguale conformazione cervicale. La cosa fondamentale da sapere è che non c’entra che cuscino usi, ma quanti ne usi e come li usi. Non esiste nemmeno un’altezza ideale del cuscino, ma generalmente la cosa migliore sarebbe dormire senza il cuscino o con un cuscino basso e che sostiene leggermente la cervicale.

La colonna cervicale si adatta e si rilassa nella sua posizione naturale, libera da ulteriori stress meccanici, d’altra parte può risultare difficile dormire senza cuscino perché ognuno ha una morfologia diversa e a seconda delle patologie presenti (es. alle vie aeree, ai polmoni o allo stomaco come il reflusso gastro-esofageo) può risultare scomodo dormire senza cuscino o con un cuscino basso e impedire un sonno ristoratore.

Il compromesso migliore è usare un solo cuscino e posizionarlo bene sotto testa e collo fino alla parte bassa della cervicale terminando all’inizio delle spalle, riempiendo così quella “conca” che naturalmente formano le nostre vertebre cervicali: in questo modo il capo e il collo sono sostenuti in una posizione di rilassamento, tutte le strutture sono “protette” e i recettori comunicano ai muscoli che possono “riposarsi” ed evitare di lavorare tutta la notte per reggere la testa.

La scelta di utilizzare o meno il cuscino è da fare insieme al proprio fisioterapista, infatti ogni quadro clinico è diverso dall’altro e quindi non esiste una formula magica che vada bene per tutti. Inoltre, c’è da dire che le posizioni di riposo cambiano a seconda della condizione clinica, quindi è possibile che l’altezza del cuscino consigliata in un primo momento possa variare durante il percorso terapeutico.

Tutto questo ragionamento va poi declinato in base alle posizioni assunte durante la notte. Alcune persone prediligono una sola posizione altri invece assumono diverse posizioni durante il sonno, per questo ogni soggetto deve essere seguito da un esperto per avere una consulenza su quale o quali cuscini utilizzare per riposare bene. Ad esempio, chi utilizza una specifica tipologia di cuscino cervicale per dormire supino (a pancia in su), potrebbe trovare delle difficoltà a utilizzare lo stesso cuscino quando dorme su un fianco.

Punto 3: Quindi se la posizione, il cuscino e il materasso non c’entrano nulla con il mio problema, perché quando mi sveglio sono sempre rigido e dolente?

La risposta è semplice ed intuitiva. La motivazione riguarda la presenza o meno di alterazioni o disfunzioni a livello cervicale. Non importa quale sia realmente la tua patologia cervicale, che sia artrosi, osteofitosi od ernia discale, poiché i sintomi che lamenti sono sempre gli stessi: dolore, rigidità, limitazione articolare e, talvolta, mal di testa. Tutti questi disturbi sono accomunati da deficit di vascolarizzazione delle strutture anatomiche della zona, in parole povere alle strutture sofferenti non arrivano le adeguate quantità di ossigeno e nutrienti e non riescono ad essere eliminate le sostanze di scarto pro-infiammatorie.

Ora, se durante il giorno bene o male il corpo si muove e la pompa muscolare fa il suo dovere e parzialmente limita questo deficit, di notte la storia cambia perché i movimenti sono naturalmente molto più limitati, diminuisce ulteriormente l’afflusso di sangue ai muscoli e le articolazioni non riescono a mantenersi lubrificate. In queste condizioni le strutture anatomiche, già di per sé sofferenti, scatenano il dolore e i sintomi cervicali.

È proprio per questo motivo che quando ti svegli ti senti rigido e dolente, e quando ti metti in moto tutto migliora, con tempistiche differenti a seconda della gravità del problema, da pochi minuti a qualche ora.

Allora per far star meglio la mia cervicale devo dormire di lato?

Devo dormire a pancia in giù oppure in sù? Devo procurarmi il miglio cuscino per la cervicale? Niente di tutto questo! Se soffri di questo problema, invece di restare ancorato ai falsi miti del cuscino, del materasso e delle posizioni di riposo, forse è il caso di capire qual’è il reale disturbo alla base del tuo dolore e curarlo! Un fisioterapista esperto effettua una valutazione per poi creare un percorso terapeutico specifico per ogni paziente.

Un trattamento di fisioterapia mirato per un disturbo cervicale è normalmente diviso in tre parti che possono sovrapporsi a livello temporale in base all’andamento del quadro clinico. La prima fase è quella del controllo del dolore e dell’infiammazione che prevede delle tecniche di terapia manuale o osteopatia insieme all’utilizzo di mezzi fisici come la tecarterapia o altre terapie fisiche.

Nella seconda fase, quella del recupero dell’articolarità e del movimento, si intensificano le tecniche di terapia manuale, si riduce la terapia fisica e si introduce l’esercizio terapeutico per la riabilitazione funzionale.

La terza fase ha come obiettivo la stabilizzazione dei sintomi e il miglioramento delle performance motorie. La fisioterapia ha la sua più alta finalità nel portare il paziente ad avere una condizione fisica migliore rispetto a quella precedente alla patologia.

Non basta togliere il dolore, dobbiamo focalizzarci sul mantenimento della salute attraverso il miglioramento della qualità del movimento, nel soggetto sportivo come nelle persone di età più avanzata. Quando il quadro clinico lo permette è necessario inserire delle sessioni di allenamento terapeutico programmate con il fisioterapista.

Risolvi adesso il tuo problema!

 

 

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IL Massaggio Terapeutico https://www.fabiobarigelli.com/il-massaggio-terapeutico/ Sat, 17 Oct 2020 07:22:13 +0000 https://www.fabiobarigelli.com/?p=3822

Il massaggio terapeutico e la sua storia

La massoterapia, termine generico per indicare un qualsiasi tipo di massaggio terapeutico e/o preventivo è la più antica forma di terapia fisica, utilizzata per alleviare dolori ed eliminare contratture, riducendo la fatica.

Abbiamo testimonianza di molte cilviltà passate che ne facevano largamente uso !

Il fisioterapista, utilizza il massaggio a fini terapeutici e rappresenta solo uno degli strumenti di cui può servirsi per trattare e gestire diversi esiti di patologie, ortopediche e non, come il mal di schiena  e il recupero dopo uno sforzo fisico.

Come per tutte le pratiche tecniche e mediche , può anche avere delle controindicazioni ed esistono situazioni in cui sarebbe meglio evitarlo, mentre ve ne sono altre in cui è assolutamente vietato.

Per questo motivo è importante  rivolgersi a fisioterapisti qualificati in grado di capire come è meglio comportarsi per tutelare la  salute del paziente.

Da non confonderlo con la terapia manuale perchè molto spesso si cade in errore poiché esistono delle differenze importanti.

La terapia manuale è una specializzazione della fisioterapia, si basa sul ragionamento clinico e sulle prove di efficacia clinico-scientifiche disponibili in letteratura, dall’inquadramento bio-psico-sociale del paziente e si rivolge al trattamento del dolore e delle limitazioni articolari.

La terapia manuale si avvale di molte tecniche per raggiungere lo scopo terapeutico tra cui proprio il massaggio terapeutico quando ritenuto opportuno.

Nella decisione di un piano terapeutico va ricordato che il massaggio rappresenta solo uno degli aspetti del trattamento che si accompagna alla terapia mio-fasciale, alla riabilitazione funzionale, alla kinesiterapia, oppure all’utilizzo di elettromedicali altamente tecnologici come la  tecarterapia  o il laser.

In questo articolo comprenderemo come la massoterapia può essere utile per i trattamenti di fisioterapia partendo dalla storia.

Fin dai tempi più antichi la Massoterapia o Massaggio Terapeutico, è stata una delle pratiche “mediche” più diffuse. Fu Ippocrate, nell’antica Grecia, a parlare per primo di “frizione delle mani verso l’alto” da praticare su zone del corpo dolenti apportandone beneficio. 

Nell’antica Roma, il Massaggio veniva considerato una pratica medica importante per la cura della salute.

Oggi, la massoterapia nell’ ambito della salute, viene considerata una vera e propria terapia medica, quindi efficace in caso di traumi, dolori muscolari, stress psico-fisico, come già detto in associazione ad altre tecniche e tecnologie. 

È fondamentale affidarsi sempre a fisioterapisti laureati !

Pazienti che effettuano trattamenti da abusivi e da personale non sanitario, mettono a rischio la propria salute.

Se vuoi affidarti a degli esperti e iniziare a risolvere il problema, consulta l’albo dei fisioterapisti per capire se il professionista a cui ti stai affidando sia un vero fisioterapista oppure no.

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